2. Il quadro che ci viene
presentato sull'innocenza dei popoli primitivi in contemplazione davanti
alle bellezze della Natura, nella quale essi ammirano la bontà del
Creatore, è senza dubbio molto poetica, ma manca di realtà.
Di fatto, più l'uomo si avvicina allo stato primitivo, più in lui domina
l'istinto, come ancora si può vedere presso i popoli selvaggi e barbari
dei nostri giorni; ciò che lo preoccupa maggiormente o, meglio, ciò che
lo occupa esclusivamente è la soddisfazione dei bisogni materiali, dal
momento che non ne ha altri. L'unico senso che può renderlo disponibile
alle gioie puramente morali si sviluppa soltanto col tempo e
gradualmente; l'anima ha la sua infanzia, la sua adolescenza e la sua
maturità, come il corpo umano. Ma per raggiungere la maturità che la
rende capace di comprendere le cose astratte, quali evoluzioni deve essa
attraversare nell'Umanità! Per quante esistenze deve essa passare!
Ma, senza risalire alle ere primitive, osserviamo attorno a noi gli
abitanti delle nostre campagne e domandiamoci quali sentimenti
d'ammirazione risvegliano in loro lo splendore del Sole che si leva, la
volta stellata, il cinguettio degli uccelli, il mormorio delle onde
chiare, i prati smaltati di fiori! Per loro, il Sole si leva perché ne
ha l'abitudine e, purché esso dia calore abbastanza da maturare i
raccolti e tale da non bruciarli, questo è tutto ciò che essi chiedono.
Se guardano il cielo è solo per sapere se l'indomani farà cattivo o bel
tempo. Che gli uccelli cantino o no per loro è perfettamente uguale,
purché non mangino il loro grano; alle melodie dell'usignolo
preferiscono il chiocciare dei polli e il grugnito dei loro porci. Ciò
che domandano ai ruscelli, limpidi o fangosi che siano, è di non
prosciugarsi e di non Mondarli. Ai prati domandano di dare buona erba,
con o senza fiori. Questo è tutto ciò che desiderano gli abitanti delle
nostre campagne; diciamo di più, tutto ciò che essi comprendono della
natura. E, tuttavia, sono già lontani dagli uomini primitivi!