IL CIELO E L'INFERNO OVVERO LA GIUSTIZIA SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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Quadro dell'inferno Cristiano

11. L'opinione dei teologi sull'inferno è riassunta nelle citazioni riportate nel paragrafo che segue. [6] Questa descrizione, tratta dalle opere degli autori sacri e dalle vite dei santi, può essere tanto meglio considerata quale espressione della fede ortodossa in questa materia, poiché essa è in ogni istante riprodotta, tranne qualche piccola variante, nelle prediche tenute dal pulpito e nelle istituzioni pastorali.

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[6] Queste citazioni sono tratte dall'opera intitolata L'Inferno di Auguste Callet.
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12. «I demoni sono puri Spiriti, e i demoni attualmente in inferno possono anch'essi essere considerati puri Spiriti, poiché solo la loro anima vi è discesa, e le loro ossa, restituite alla terra, si trasformano incessantemente in erbe, piante, frutti, minerali, liquidi, subendo inconsapevolmente le continue metamorfosi della materia. Ma i dannati, come i santi, devono resuscitare l'ultimo giorno, e riprendere, per non più lasciarlo, un corpo carnale, il medesimo corpo sotto le cui sembianze sono stati conosciuti fra i vivi. Ciò che distinguerà gli uni dagli altri sarà questo: gli eletti resusciteranno in un corpo purificato e radioso, i dannati in un corpo insudiciato e deformato dal peccato. Non ci saranno più, dunque, nell'inferno puri Spiriti soltanto; ci saranno uomini come noi. L'inferno è, di conseguenza, un luogo fisico, geografico, materiale, poiché sarà popolato da creature terrestri, che avranno piedi, mani, bocca, lingua, denti, orecchie e occhi, in tutto simili ai nostri; e sangue dentro le vene e nervi sensibili al dolore.

Dov'è situato l'inferno? Alcuni dotti l'hanno situato nelle viscere stesse della nostra Terra; altri, non so su quale pianeta; ma la questione non è ancora stata risolta da nessun concilio. Su questo punto, siamo dunque ridotti alle congetture. La sola cosa che si afferma unanimemente è che l'inferno, in qualsiasi luogo sia collocato, è un mondo composto di elementi materiali. Ma è un mondo senza Sole, senza Luna, senza stelle, più triste e più inospitale — privo com'è di ogni germe e di ogni parvenza di bene — di quanto non lo siano le più inabitabili parti di questo mondo dove noi pecchiamo.

I teologi più circospetti non s'azzardano a dipingere, alla maniera degli Egiziani, degli Indù e dei Greci, tutti gli orrori di questa dimora; essi si limitano a mostrarcene, come campione, quel poco che ne rivelano le Scritture, cioè lo stagno di fuoco e di zolfo dell'Apocalisse; i vermi di Isaia, quei vermi che eternamente brulicano sulle carogne del Tofel; i demoni che tormentano gli uomini ch'essi stessi hanno rovinato; gli uomini che piangono e digrignano i denti, secondo l'espressione usata dagli Evangelisti.

Sant'Agostino non concorda sul fatto che queste pene fisiche siano semplici riflessi delle sofferenze morali. Egli vede, in un vero stagno di zolfo, dei vermi veri e veri serpenti che si accaniscono su tutte le parti del corpo dei dannati, e i loro morsi si aggiungono a quelli del fuoco. Egli sostiene inoltre, secondo un versetto di san Marco, che questo strano fuoco, benché materiale come il nostro e benché agisca su corpi materiali, li conservi come il sale conserva le carni delle vittime. Ma i dannati, vittime sempre sacrificate e sempre vive, sentiranno il dolore di questo fuoco che brucia senza distruggere; esso penetrerà sotto la loro pelle; ed essi ne saranno imbevuti e saturati in tutte le loro membra, fin nel midollo delle ossa, fin nella pupilla degli occhi, fin nelle fibre più nascoste e più sensibili del loro essere. Il cratere di un vulcano, se vi si potessero immergere, sarebbe per loro un luogo di refrigerio e di riposo.

Così parlano, in tutta sicurezza, i teologi più schivi, più discreti, più riservati. Essi d'altronde non negano che vi siano in inferno altri supplizi corporali; dicono soltanto che, per parlarne, non ne hanno una conoscenza sufficiente così positiva, almeno, quanto quella che è stata loro offerta dall'orribile supplizio del fuoco e da quello disgustoso dei vermi. Ma ci sono anche dei teologi più arditi o più illuminati che dell'inferno fanno descrizioni più dettagliate, più variate e più complete. E, benché non si sappia in quale luogo dello Spazio sia situato questo inferno, ci sono dei santi che l'hanno visto. Non ci sono andati, lira in mano, come Orfeo; né spada in pugno come Ulisse; ma vi sono stati trasportati in spirito. Fa parte di questo numero santa Teresa.

Sembrerebbe, secondo la narrazione della santa, che ci siano delle città nell'inferno. Ella vi vide una specie di stradicciola lunga e stretta, come se ne incontrano tante nelle vecchie città. Vi si inoltrò, camminando con orrore su un terreno fangoso e putrido, che pullulava di rettili mostruosi. Ma fu bloccata nella sua marcia da una muraglia che sbarrava la stradicciola. In questa muraglia c'era una nicchia dove Teresa si rincantucciò, senza tuttavia sapere come ciò accadesse. "Era — ella dice — il posto che le sarebbe stato destinato, se avesse abusato, in vita, delle grazie che Dio le elargiva nella sua cella di Avila." Quantunque si fosse introdotta con una meravigliosa facilità in quella nicchia di pietra, ella non poteva tuttavia né sedervisi né sdraiarvisi né starvi in piedi; né, ancor meno, poteva uscirne. Quelle orribili mura si erano abbassate su di lei, l'avviluppavano, la serravano come se fossero state animate. Le sembrò che la si soffocasse, che la si strangolasse e che, nello stesso tempo, la si scorticasse viva e la si facesse a pezzi. Avvertì che stava bruciando e provava nello stesso tempo ogni genere d'angoscia. Di un qualunque soccorso nessuna speranza: tutto attorno a lei non era che tenebre, e nondimeno attraverso queste tenebre ella intravedeva ancora, non senza stupore, la orribile strada dove si trovava e tutto il suo immondo vicinato, spettacolo per lei intollerabile quanto la strettezza della sua prigione. [7]

Questo, senza dubbio, non era altro che un piccolo angolo dell'inferno. Altri viaggiatori spirituali sono stati maggiormente favoriti. Hanno visto in inferno grandi città completamente in fiamme: Babilonia e Ninive, la stessa Roma, i loro palazzi e i loro templi che bruciavano, e tutti i loro abitanti incatenati: il trafficante incatenato al suo banco; preti, insieme a cortigiane nelle sale dei banchetti, che urlavano sui loro scanni dai quali non riuscivano più a staccarsi, e che si portavano alle labbra, per dissetarsi, coppe da cui uscivano fiamme; e poi valletti, le braccia tese, in ginocchio dentro cloache ribollenti; e principi dalle cui mani scorreva su di loro, a mo' di lava divorante, dell'oro fuso. Altri hanno visto in inferno pianure sconfinate, che contadini famelici aravano e seminavano; e siccome da queste pianure fumanti del loro sudore, da queste sementi sterili, nulla cresceva, questi contadini si divoravano tra di loro. Dopo di che, come prima egualmente numerosi, egualmente emaciati, egualmente affamati, si disperdevano in branchi all'orizzonte, andando a cercare lontano, ma invano, terre più felici. E subito erano rimpiazzati, nelle campagne che essi abbandonavano, da altre colonie erranti di dannati. Ci sono di quelli che hanno visto in inferno montagne colme di precipizi, foreste che gemevano, pozzi senz'acqua, fontane alimentate dalle lacrime, fiumi di sangue, tempeste di neve su deserti di ghiaccio, imbarcazioni cariche di disperati che vogavano su mari senza rive. In una parola, vi si è rivisto tutto ciò che vi vedevano i pagani: un riflesso lugubre della Terra, un'ombra smisuratamente ingigantita delle sue miserie, le sue sofferenze naturali eternizzate, fino alle prigioni sotterranee, ai patiboli e agli strumenti di tortura, che le nostre stesse mani hanno forgiato.

Ci sono, in effetti, laggiù dei demoni i quali, per straziare meglio gli uomini nei loro corpi, assumono anch'essi un corpo. Alcuni hanno ali di pipistrello, corna, corazze di scaglie, zampe munite di artigli, zanne aguzze; ci vengono mostrati armati di spade, di forche, di pinze, di tenaglie arroventate, di seghe, di griglie, di mantici, di clave e, per l'eternità, svolgono in relazione alla carne umana il compito di cucinieri e macellai. Altri demoni, trasformatisi in leoni o in enormi vipere, trascinano le loro prede in caverne solitarie. Altri ancora si trasformano in corvi, per strappare gli occhi ad alcuni colpevoli; o in draghi volanti, per caricarli sul loro dorso e trasportarli completamente atterriti, sanguinanti e urlanti attraverso gli spazi tenebrosi e lasciarli poi piombare nello stagno di zolfo. Ecco nubi di cavallette, scorpioni giganteschi, la cui vista dà i brividi, il cui odore dà la nausea, il cui minimo sfioramento dà le convulsioni; ecco mostri policefali che spalancano da ogni parte gole voraci, che scrollano sulle loro teste deformi criniere di vipere, che triturano i condannati tra le loro mascelle sanguinanti e li vomitano completamente a pezzi ma vivi, perché sono immortali.

Questi demoni dalla forma materiale — che ricordano così palesemente gli dei dell'Amenti [8] e del Tartaro, e gli idoli ch'erano adorati dai Fenici, dai Moabiti e dagli altri Gentili vicini della Giudea — non agiscono affatto a caso; ognuno ha la sua funzione e il suo compito; il male ch'essi fanno in inferno è in rapporto al male che hanno ispirato e indotto a commettere sulla Terra. [9] I dannati sono puniti in tutti i loro sensi e in tutti i loro organi. Puniti in un certo modo come golosi dai demoni della golosità, puniti in altro modo come pigri dai demoni della pigrizia, e in altro modo ancora come fornicatori dai demoni della fornicazione, e in tante altre maniere diverse quante diverse maniere di peccare ci sono. Essi avranno freddo bruciando e caldo gelando; saranno avidi di riposo e avidi di movimento; e sempre affamati, sempre sconvolti, e mille volte più affaticati dello schiavo al termine della giornata, più malati dei moribondi; saranno più dilaniati, più distrutti, più ricoperti di piaghe dei martiri. E questo non finirà mai.

Nessun demone si sottrae e mai si sottrarrà al suo spietato incarico; sotto questo aspetto, sono tutti molto disciplinati e fedeli nell'eseguire gli ordini vendicativi che hanno ricevuto; senza di ciò, d'altronde,che cosa diventerebbe l'inferno? Le vittime si riposerebbero se gli aguzzini litigassero tra di loro o si stancassero. Ma né riposo per gli uni, né risse per gli altri; per quanto essi siano cattivi e per quanto siano innumerevoli, i demoni s'intendono da un capo all'altro dell'abisso, e mai si videro sulla Terra nazioni più sottomesse ai loro prìncipi, eserciti più obbedienti ai loro capi, comunità monastiche più umilmente sottomesse ai loro superiori. [10]

D'altronde non molto si conosce della popolazione dei demoni, questi vili Spiriti di cui sono composte le legioni di vampiri, di diavolesse, di rospi, di scorpioni, di corvi, di idre, di salamandre e di altre bestie senza nome, che costituiscono la fauna delle regioni infernali. Si conoscono, però, e si nominano parecchi dei principi che comandano queste legioni, tra i quali Belfagor, il demone della lussuria; Abaddon o Apollion, il demone dell'assassinio; Belzebù, il demone dei desideri impuri, o il signore delle mosche che generano la corruzione; Mammona, il demone dell'avarizia; e ancora Moloch e Bèlial e Baalgad e Astaroth e molti altri. Al di sopra di essi sta il loro capo supremo, il capo arcangelo che in cielo portava il nome di Lucifero e che in inferno porta quello di Satana.

Ecco, in sintesi, l'idea che ci viene data dell'inferno, considerato dal punto di vista della sua natura fisica e delle pene fisiche che vi si subiscono. Consultate gli scritti dei Padri e degli antichi Dottori; interrogate le nostre pie leggende; osservate le sculture e i quadri delle nostre chiese; prestate orecchio a ciò che si dice dai nostri pulpiti, e voi ne apprenderete ben di più.»

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[7] Si riconoscono, in questa visione tutte le caratteristiche dell'incubo. È dunque probabile che in santa Teresa si sia prodotto un effetto di questo genere.

[8] Nota del traduttore: Negli antichi culti egizi, l'inferno è detto Amenti.

[9] Davvero singolare questa punizione, che consisterebbe nel dover continuare, su più vasta scala, il male che essi hanno fatto in scala ridotta sulla Terra! Sarebbe più razionale che soffrissero essi stessi delle conseguenze di questo male, invece di offrirsi il piacere di farle subire agli altri.

[10] Questi stessi demoni, ribellatisi a Dio per quanto riguarda il bene, sono di una docilità esemplare per quanto riguarda la pratica del male. Nessuno di loro indietreggia né esita per tutta l'eternità. Quale singolare metamorfosi in loro, che erano stati creati puri e perfetti come gli angeli!

Non è forse assai singolare vederli dare l'esempio dell'intesa e dell'armonia perfette, della concordia inalterabile, quando gli uomini invece non sanno vivere in pace e si dilaniano a vicenda sulla Terra? Vedendo la profusione di castighi riservati ai dannati, e raffrontando la loro situazione con quella dei demoni, ci si chiede quali siano più da compiangere: gli aguzzini o le vittime?
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13. L'autore fa seguire questo quadro da alcune riflessioni, qui di seguito riportate, di cui ciascuno comprenderà la portata.

«La resurrezione dei corpi è un miracolo; ma Dio fa un secondo miracolo per dare a questi corpi mortali, già un tempo usati nelle prove passeggere della vita, già un tempo annientati, la virtù di sussistere, senza dissolversi in una fornace dove evaporano i metalli stessi. Che si dica che l'anima sia il carnefice di sé stessa, che Dio non la perseguiti, ma che l'abbandoni piuttosto allo stato infelice ch'essa ha scelto, questo può, a rigore, comprendersi, quantunque l'abbandono eterno di un essere traviato e sofferente appaia poco conforme alla bontà del Creatore. Ma ciò che si dice dell'anima e delle pene spirituali non si può, in alcun modo, dire dei corpi e delle pene corporali. Per perpetuare tali pene corporali, non è sufficiente che Dio ritiri la Sua mano; bisogna, al contrario, ch'Egli la mostri, ch'Egli intervenga, ch'Egli agisca, altrimenti il corpo soccomberebbe.

I teologi suppongono dunque che Dio operi, in effetti, dopo la resurrezione, questo secondo miracolo di cui abbiamo parlato. Prima di tutto, Egli trae dal sepolcro, che li ha divorati, i nostri corpi d'argilla; li trae tali e quali come vi sono entrati, con le loro infermità originali e successivi deterioramenti dovuti all'età, alla malattia e al vizio; ce li rende in questo stato — decrepiti, intirizziti, gottosi, pieni di necessità, sensibili a una puntura d'ape, del tutto coperti dalle ferite che la vita e la morte vi hanno impresso — ed è questo il primo miracolo. Poi a questi miseri corpi, pronti a ritornare alla polvere da cui sono usciti, Egli impone una proprietà che non avevano mai avuta, ed ecco il secondo miracolo; Egli impone loro l'immortalità, quello stesso dono che nella Sua collera — dite piuttosto nella Sua misericordia — aveva tolto ad Adamo all'uscita dall'Eden. Quando Adamo era immortale, era invulnerabile, e quando cessa di essere invulnerabile, diventa mortale. La morte segue da vicino il dolore.

La resurrezione, dunque, non ci riporta né alle condizioni fisiche dell'uomo innocente, né alle condizioni fisiche dell'uomo colpevole. È solo una resurrezione delle nostre miserie, ma con un sovraccarico di miserie nuove, infinitamente più orribili; è, in parte, una vera creazione, e la più maligna che l'immaginazione abbia osato concepire. Dio si ricrede e, per aggiungere ai tormenti spirituali dei peccatori anche tormenti carnali che possano durare per sempre, cambia tutto a un tratto, per effetto del Suo potere, le leggi e le proprietà, da Lui stesso assegnate fin dal principio, ai componenti della materia. Egli resuscita carni malate e corrotte e, legando con un nodo indistruttibile quegli elementi che tendono già di per sé stessi a separarsi, mantiene e perpetua, contro l'ordine naturale, quella putredine vivente. La getta nel fuoco, non per purificarla, ma per conservarla tale quale essa è, sensibile, sofferente, bruciante, orribile, tale, con ciò, quale Egli la vuole: immortale.

Si fa di Dio, con questo miracolo, uno degli aguzzini dell'inferno, perché se i dannati non possono imputare che a sé stessi i loro mali spirituali, non possono, d'altra parte, attribuire gli altri mali che a Lui. Evidentemente sarebbe stato troppo poco abbandonarli, dopo la morte, alla tristezza, al pentimento e a tutte le angosce di un'anima che sente di aver perduto il bene supremo. Dio, secondo i teologi, andrà a cercarli, quella notte, al fondo di quell'abisso; li richiamerà per un momento alla vita non per consolarli, ma per rivestirli di un corpo orribile, fiammeggiante, imperituro, più appestato del manto di Deianira, ed è allora soltanto che Egli li abbandonerà per sempre.

Ma anche così non li abbandonerà, perché l'inferno non sussiste — come pure la Terra e il Cielo — se non per un atto permanente della Sua volontà, sempre attiva, e perché svanirebbe s'egli cessasse di sostenere questo tutto. Egli, perciò, terrà continuamente la mano su di essi, per impedire che il loro fuoco si spenga e i loro corpi si consumino, volendo che questi disgraziati immortali contribuiscano con l'eternità del loro supplizio, all'edificazione degli eletti.»

14. Abbiamo detto, con ragione, che l'inferno dei Cristiani aveva oltrepassato, rispetto a punizioni, quello dei pagani. Nel Tartaro, infatti, si vedono i colpevoli torturati dai rimorsi, sempre al cospetto dei loro crimini e delle loro vittime, oppressi da quegli stessi che essi avevano oppresso quand'erano vivi. Li si vede sfuggire alla luce che li penetra, e cercare invano di evitare gli sguardi che li perseguitano; lì l'orgoglio è abbattuto e umiliato; tutti portano le stigmate del loro passato; tutti sono puniti dagli stessi loro errori, a tal punto che, per alcuni, è sufficiente abbandonarli a sé stessi, giudicando inutile aggiungervi altri castighi. Ma sono ombre vale a dire anime con i loro colpi fluidici, sono un'immagine della loro esistenza terrena; non vi si vedono uomini riprendere il loro corpo carnale per soffrire materialmente, né il fuoco penetrare sotto la loro pelle e saturarli fino al midollo delle ossa, né la profusione e la raffinatezza dei supplizi che stanno alla base dell'inferno cristiano. Qui si trovano dei giudici inflessibili, ma giusti che comminano la pena proporzionalmente alla colpa; mentre, nell'impero di Satana, tutti sono mescolati nelle medesime torture, tutto è basato sulla materialità, e persino l'equità vi è bandita.

Senza dubbio, al giorno d'oggi, vi sono nella Chiesa stessa molti uomini sensati che non considerano queste cose alla lettera e non vi scorgono che delle allegorie di cui bisogna comprendere lo spirito; ma la loro opinione è soltanto individuale e non fa legge. La credenza nell'inferno materiale, con tutte le sue conseguenze, resta ancora, dunque, un articolo di fede.

15. Ci si domanda come degli uomini abbiano potuto vedere queste cose nell'estasi, se esse non esistono. Non è qui, però, il luogo per spiegare l'origine delle immagini fantastiche che a volte si producono con apparenza di realtà. Noi diremo soltanto che bisogna vedervi una prova di quel principio, secondo cui, l'estasi è la meno sicura di tutte le rivelazioni, [11] perché questo stato di sovreccitazione non sempre comporta una liberazione dell'anima tale da poterla ritenere assoluta, indicando molto spesso un riflesso delle preoccupazioni dello stato di veglia. Le idee — di cui lo Spirito si nutre e di cui il cervello o, meglio, l'involucro perispirituale corrispondente al cervello, ha conservato l'impronte — si riproducono amplificate come in un miraggio, sotto forme vaporose che si incrociano e si confondono, creando degli insiemi bizzarri. Gli estasiati di tutti i culti hanno sempre visto delle cose in relazione alla fede da cui erano pervasi. Non è dunque sorprendente che quanti, come santa Teresa, sono fortemente impregnati di concetti sull'inferno — così come ce li mostrano le descrizioni verbali o scritte e i dipinti — abbiano delle visioni che non ne sono, propriamente parlando, che la riproduzione, e che producono l'effetto di un incubo. Un pagano pieno di fede avrebbe visto il Tartaro e le Furie, così come nell'Olimpo avrebbe visto Giove che impugna la saetta.

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[11] il Libro degli Spiriti, nn. 443 e 444.