IL CIELO E L'INFERNO OVVERO LA GIUSTIZIA SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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3. L'inferno dei pagani, descritto e drammatizzato dai poeti, è stato il modello più grandioso del genere; esso si è perpetuato in quello dei cristiani, che ha avuto anch'esso i suoi cantori e i suoi poeti. Confrontandoli, vi si ritrovano, salvo i nomi e qualche variante nei dettagli, numerose analogie: nell'uno e nell'altro, il fuoco materiale è la base dei tormenti, poiché è il simbolo delle più crudeli sofferenze. Ma, cosa strana, i cristiani hanno, su molti punti, esagerato rispetto all'inferno dei pagani. Se questi ultimi avevano nel loro inferno la botte delle Danaidi, la ruota di Issione, il macigno di Sisifo, questi erario dei supplizi individuali. L'inferno cristiano ha per tutti le sue caldaie bollenti, i cui coperchi vengono sollevati dagli angeli per osservare le contorsioni dei dannati; [2] Dio ascolta senza pietà gli urli di costoro per l'eternità. Mai i pagani hanno descritto gli abitanti degli Champs Elysèes mentre dilettano la loro vista con i supplizi del Tartaro. [3]

Era di fuoco la ruota di Issione, re dei Lapiti, condannato nell'inferno a girare senza posa, legato a essa con serpi. Narra la leggenda che, dopo aver ucciso il suocero, purificatosi, fu ospitato nell'Olimpo da Zeus. Ma nell'Olimpo tradì Zeus tentando di approfittare della moglie Era.

Il macigno di Sisifo fa riferimento alla leggenda, nota come "Il supplizio di Sisifo", secondo la quale Sisifo, figlio di Eolo, è condannato nell'oltretomba a spingere eternamente sulla cima di un monte un masso che rotola continuamente giù.

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[2] Sermone tenuto a Montpellier nel 1860.

[3] "I beati, senza abbandonare il posto ch'essi occupano, potranno tuttavia allontanarsene in una certa maniera, in ragione del loro dono d'intelligenza e di vista distinta, al fine di considerare le torture dei dannati. E, vedendole, non solo essi non ne proveranno alcun dolore, ma ne saranno colmi di gioia e renderanno grazie a Dio per la loro stessa felicità, assistendo all'ineffabile disgrazia degli empi." (san Tommaso d'Aquino)
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