Impossibilità materiale delle pene eterne
18. Fin
qui, il dogma dell'eternità delle pene non è stato combattuto che con
il ragionamento; ora lo mostreremo in contraddizione con i fatti
positivi che abbiamo sotto gli occhi e ne proveremo l'impossibilità.
Secondo questo dogma, la sorte dell'anima è irrevocabilmente fissata
dopo la morte. Ed è dunque, questo, un punto d'arresto definitivo
applicato al progresso. Ora, l'anima progredisce sì o no? Sta qui tutta
la questione. Se essa progredisce, l'eternità delle pene è impossibile.
Si può forse dubitare di questo progresso, quando si vede l'immensa
varietà di attitudini morali e intellettuali che esistono sulla terra,
dal selvaggio all'uomo civilizzato? Quando si vedono le differenze che
un medesimo popolo presenta da un secolo all'altro? Se si ammette che
non sono più le medesime anime, bisogna ammettere, allora, che Dio crea
anime a tutti i livelli d'avanzamento, secondo i tempi e i luoghi;
ch'Egli favorisce le une, mentre destina le altre a una inferiorità
perpetua, cosa che è incompatibile con la giustizia, che deve essere la
stessa per tutte le creature.
19.
È incontestabile che l'anima, intellettivamente e moralmente arretrata
come quella dei popoli barbari, non può possedere i medesimi elementi di
felicità, le medesime attitudini a godere degli splendori
dell'infinito, dell'anima le cui facoltà sono tutte largamente
sviluppate. Dunque, se queste anime non progrediscono, non possono — e
nelle condizioni a loro più favorevoli — godere in eterno che di una
felicità per così dire negativa. Si arriva, dunque, per forza di cose —
per essere d'accordo con una giustizia rigorosa — a questa conclusione:
le anime, quelle più avanzate, sono proprio quelle stesse che erano
arretrate e che sono progredite. Ma qui tocchiamo la grande questione
della pluralità delle esistenze, come unico
mezzo razionale per risolvere la difficoltà del problema. Tuttavia,
prescindendo da ciò, considereremo l'anima sotto il punto di vista di
una esistenza unica.
20. Ecco,
come se ne vedono tanti, un giovane di vent'anni, ignorante, dagli
istinti viziosi, che nega Dio e la sua anima, che si abbandona al
disordine e che commette ogni genere di misfatti. Tuttavia egli si trova
in un ambiente favorevole al suo miglioramento; lavora, s'istruisce, a
poco a poco si corregge e infine diventa pio. Non è forse questo un
esempio palpabile del progresso dell'anima durante la vita? E non se ne
vedono forse di simili tutti i giorni? Questo uomo muore santamente in
età avanzata, e naturalmente la sua salvezza è assicurata. Ma quale
sarebbe stata la sua sorte, se un caso accidentale l'avesse portato alla
morte quaranta o cinquant'anni prima? Egli si trovava in tutte quelle
condizioni atte a essere dannato; orbene, una volta dannato, ogni
progresso si sarebbe arrestato. Ecco, dunque, un uomo che si è salvato
perché ha vissuto a lungo, e che, secondo la dottrina delle pene eterne,
sarebbe stato perduto per sempre se fosse vissuto meno, cosa che poteva
accadere per incidente fortuito. Dal momento che la sua anima ha potuto
progredire in un determinato tempo, perché non avrebbe potuto
progredire nel medesimo tempo dopo la morte, se una causa indipendente
dalla sua volontà gli avesse impedito di farlo durante la vita? Perché
Dio gliene avrebbe rifiutato i mezzi? Il pentimento, sia pure tardivo,
sarebbe pur sempre venuto a suo tempo. Ma se, dall'istante della sua
morte, una condanna irremissibile lo avesse colpito, il suo pentimento
sarebbe stato senza frutto per l'eternità e la sua attitudine a
progredire sarebbe stata distrutta per sempre.
21. Il
dogma dell'eternità assoluta delle pene è dunque inconciliabile con il
progresso dell'anima, poiché vi opporrebbe un ostacolo invalicabile.
Questi due principi si annullano per forza di cose l'un l'altro; se
esiste l'uno, non può esistere l'altro. Quale dei due esiste? La legge
del progresso è palese: non è una teoria, questo è un fatto convalidato
dall'esperienza; è una legge di natura, una legge divina,
imprescrittibile. Dunque, poiché essa esiste e poiché non può
conciliarsi con l'altra, vuol dire che l'altra non esiste. Se il dogma
dell'eternità delle pene fosse una verità, sant'Agostino, san Paolo e
molti altri non avrebbero mai visto il cielo se fossero morti prima del
progresso che ha originato la loro conversione.
A
quest'ultima asserzione, si risponde che la conversione di questi
personaggi santi non è il risultato del progresso dell'anima, ma della
grazia che fu loro accordata e dalla quale essi furono toccati.
Ma a questo punto è voler giocare con le parole. Se essi hanno
commesso il male e più tardi compiuto il bene, significa che essi sono
diventati migliori; essi dunque sono progrediti. Dio avrebbe, perciò,
accordato loro, attraverso un favore speciale, la grazia di correggersi?
Perché a loro sì e ad altri no? Si tratta sempre della dottrina dei
privilegi, incompatibile con la giustizia di Dio e con il Suo amore,
eguale per tutte le Sue creature.
Secondo la Dottrina
Spiritista, in accordo con le parole stesse del Vangelo, con la logica e
con la giustizia più rigorosa, l'uomo è il figlio delle sue opere,
durante questa vita e dopo la morte; egli non deve nulla al favore: Dio
lo ricompensa dei suoi sforzi e lo punisce per la sua negligenza, per
tutto il tempo ch'egli è negligente.