IL CIELO E L'INFERNO OVVERO LA GIUSTIZIA SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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Capitolo V - SUICIDI

Il suicida della Samaritaine


Il 7 aprile 1858, verso le sette di sera, un uomo d'una cinquantina d'anni, dignitosamente vestito, si presentò nello stabilimento della Samaritaine, a Parigi, e si fece preparare un bagno. Il ragazzo addetto ai servizi, meravigliandosi che, dopo due ore, quell'individuo non avesse ancora chiamato, decise di entrare nella stanza da bagno per vedere se si fosse sentito male. Fu così che divenne testimone d'un orrendo spettacolo: il disgraziato si era reciso la gola con un rasoio, e tutto il suo sangue si era mescolato all'acqua della vasca. Non essendosi potuta stabilire l'identità, il cadavere fu trasportato all'Istituto di Medicina Legale.

Lo Spirito di quest'uomo, evocato presso la Società Spiritista di Parigi sei giorni dopo la sua morte, diede le risposte che qui di seguito riportiamo.

1. Evocazione. (Risposta della guida del medium.) «Attendete... è qui.»

2. Dove siete ora?

«Io non lo so... Ditemelo voi dove sono.»

3. Siete in un'assemblea di persone che si occupano di studi spiritisti e che sono molto ben disposte verso di voi.

«Ditemi se sono vivo... Soffoco in questa bara.»

La sua anima, benché separata dal corpo, è ancora completamente immersa in ciò che si potrebbe chiamare vortice della materia corporale. Le idee terrene sono ancora forti. Egli non crede di essere morto.

4. Chi vi ha costretto a venire da noi?

«Mi sono sentito confortato.»

5. Quale il motivo che vi ha portato a suicidarvi?

«Io sarei morto? No... Abito il mio corpo... Voi non sapete quanto io soffra!... Soffoco... Che una mano compassionevole provi a finirmi!»

6. Perché non avete lasciato alcuna traccia che potesse farvi riconoscere?

«Sono abbandonato! Ho fuggito la sofferenza per trovare la tortura.»

7. E ora avete gli stessi motivi per restare sconosciuto?

«Sì. Non rigirate il ferro rovente nella piaga che sanguina.»

8. Non vorreste dirci il vostro nome, la vostra età, la vostra professione, il vostro domicilio?

«No... a tutto no.»

9. Avevate una famiglia, una moglie, dei figli?

«Ero abbandonato. Nessun essere al mondo mi amava.»

10. Che cosa avevate commesso per non essere amato da nessuno?

«Quanti, quanti ce ne sono come me!... Un uomo può sentirsi abbandonato anche in seno alla sua stessa famiglia, quando nessun cuore lo ama.»

11. Al momento di commettere il suicidio, non avete avuto alcuna esitazione?

«Avevo sete di morte... Attendevo il riposo.»

12. Come mai il pensiero del futuro non vi ha fatto rinunciare al vostro proposito?

«Non ci credevo più... al futuro. Ero senza speranze. Il futuro è speranza.»

13. Quali riflessioni avete fatto al momento in cui avete sentito la vita spegnersi in voi?

«Io non ho riflettuto. Io sento... Ma la mia vita non è spenta... La mia anima è legata al mio corpo... sento i vermi divorarmi.»

14. Quale sentimento avete provato nel momento in cui la morte è stata completa?

«Ma lo è completa?»

15. Il momento in cui la vita si spegneva in voi è stato doloroso?

«Meno doloroso che in seguito. Solo il corpo ne ha sofferto.»

16. (Allo Spirito di san Luigi.) Che cosa intende lo Spirito dicendo che il momento della morte è stato meno doloroso che in seguito?

«Lo Spirito si liberava di un fardello che lo opprimeva. Egli provava la voluttà del dolore.»

17. Questo stato è sempre la conseguenza del suicidio?

«Sì. Lo Spirito del suicida è legato al suo corpo fino al termine della sua vita. La morte naturale è la liberazione della vita; il suicidio la spezza completamente.»

18. Accade lo stesso in ogni morte accidentale indipendente dalla volontà, e che abbrevi la durata naturale della vita?

«No... Che cosa intendete voi per suicidio? Lo Spirito è responsabile solo dei suoi atti.»

Questo dubbio, riguardo alla propria mente, è molto comune presso le persone decedute da poco, e soprattutto presso quelle che, durante la loro vita, non hanno elevato la loro anima al di sopra della materia. È, di primo acchito, un fenomeno che può apparire bizzarro, ma che si spiega molto naturalmente. Se a un individuo, posto per la prima volta in stato di sonnambulismo, si chiede se stia dormendo, quasi sempre egli risponde negativamente. E questa sua risposta è logica: è l'interrogante che pone male la domanda, poiché si serve di un termine improprio. L'idea di sonno, nella nostra lingua abituale, è legata alla sospensione di tutte le nostre facoltà sensitive. Orbene, il sonnambulo, che pensa, che vede, che sente, che ha coscienza della sua libertà morale, non crede affatto di dormire; e in effetti egli non dorme, secondo l'accezione comune del termine. È per questo che risponde negativamente, almeno finché non abbia familiarizzato con questa maniera d'intendere il fatto. La stessa cosa avviene per l'uomo che è appena morto; per lui la morte era l'annientamento dell'essere. Come il sonnambulo, egli vede, sente e parla; quindi, secondo lui, egli non è morto, e lo afferma fin quando non abbia acquisito l'intuizione del suo nuovo stato. Questa illusione è sempre più o meno penosa, perché non è mai completa e lascia lo Spirito in una sorta d'ansietà. Nell'esempio qui citato si tratta di un vero e proprio supplizio, per la sensazione dei vermi che corrodono il corpo, e anche per la sua durata, che deve essere quella che avrebbe avuto la vita di quest'uomo, se egli non l'avesse abbreviata. Questo stato è frequente nei suicidi, ma non sempre si presenta in condizioni identiche; tale stato varia soprattutto riguardo alla durata e all'intensità, a seconda delle circostanze aggravanti o attenuanti della colpa. La sensazione dei vermi e della decomposizione del corpo non è neppure una peculiarità dei suicidi; essa, per esempio, è frequente presso coloro che hanno vissuto più della vita materiale che della vita spirituale. In linea di massima, non esistono colpe che rimangano impunite; ma non ci sono regole uniformi e assolute circa i mezzi di punizione.


Il padre e il coscritto


All'inizio della guerra d'Italia, nel 1859, un negoziante di Parigi, padre di famiglia, il quale godeva della stima generale di tutti i suoi vicini, aveva un figlio che la sorte aveva chiamato sotto le armi. Trovandosi, per la sua posizione, nell'impossibilità di richiederne l'esonero dal servizio, ebbe l'idea di suicidarsi, di modo che il figlio fosse esentato come figlio unico di madre vedova. Il suicida è stato evocato un anno dopo, presso la Società di Parigi, su richiesta di una persona che l'aveva conosciuto e che desiderava conoscere la sua sorte nel mondo degli Spiriti.

(A san Luigi) Vogliate dirci se possiamo fare l'evocazione dell'uomo di cui si è appena parlato.

«Ma certo. Egli ne sarà anzi molto felice, perché si sentirà un po' sollevato.»

1. Evocazione. «Oh, grazie! Io soffro molto, ma... è giusto. Tuttavia Egli mi perdonerà.»

Lo Spirito scrive con grande difficoltà; i caratteri sono irregolari e mal formati. Dopo la parola ma, egli si arresta, invano cerca di continuare a scrivere e non fa che qualche segno indecifrabile e dei puntini. È evidente che è la parola Dio che non è riuscito a scrivere.

2. Abbiate la bontà di colmare la lacuna che avete lasciato.

«Non ne sono degno.»

3. Dite di soffrire e avete avuto senza dubbio torto a suicidarvi. Ma il motivo che vi ha spinto a quel gesto non vi ha procurato qualche indulgenza?

«La mia punizione sarà meno lunga, ma l'azione non è per questo meno malvagia.»

4. Potreste descriverci la punizione che state subendo?

«Soffro doppiamente nell'anima e nel corpo: soffro nel corpo pur non possedendolo più, proprio come l'amputato che soffre in quel suo arto che non ha più.»

5. Il vostro gesto ha avuto vostro figlio come unico movente, oppure siete stato sollecitato da qualche altra causa?

«Il solo amore paterno mi ha guidato, ma purtroppo mi ha guidato male. È grazie a questo motivo che la mia pena sarà abbreviata.»

6. Prevedete il termine delle vostre sofferenze?

«Non ne conosco il termine; ma ho la sicurezza che questo termine esiste, la qual cosa è per me un sollievo.»

7. Poco fa non avete potuto scrivere il nome di Dio. Tuttavia noi abbiamo visto degli Spiriti, molto sofferenti, che lo hanno scritto. Ciò fa forse parte della vostra punizione?

«Con grandi sforzi di pentimento, potrei farlo.»

8. Ebbene, fateli questi grandi sforzi e cercate di scriverlo. Siamo convinti che se ci riusciste, ciò sarebbe per voi una grande consolazione.

Lo Spirito finì con lo scrivere in caratteri irregolari, tremolanti e molto grossi: "Dio è molto buono".

9. Sappiamo che siete venuto di buon grado al nostro invito e pregheremo Dio per voi, per richiamare la Sua misericordia su di voi.

«Oh, sì, ve ne prego!»

(A san Luigi) Potreste darci un vostro personale giudizio sul gesto dello Spirito che abbiamo appena evocato?

«Questo Spirito soffre, e giustamente. Egli, infatti, ha mancato della fede in Dio, cosa che è sempre soggetta a punizione. La sua punizione sarebbe più terribile e molto più lunga se non vi fosse a suo favore un lodevole motivo, quello, cioè, d'impedire che suo figlio andasse incontro alla morte. Dio, che vede al fondo dei cuori, e che è giusto, non lo punisce che secondo le sue opere.»

Osservazioni. A tutta prima, questo suicidio appare giustificabile, poiché può essere considerato come un atto di abnegazione. In effetti lo è, ma non lo è in modo assoluto. Come dice lo Spirito di san Luigi, a quest'uomo è mancata la fede in Dio. Forse, con il suo gesto ha impedito che il destino di suo figlio si compisse. Prima di tutto, non è affatto certo che il figlio dovesse morire in guerra; può anzi darsi che la carriera militare avrebbe potuto fornirgli l'occasione di compiere qualcosa che sarebbe stato utile al suo avanzamento. Le sue intenzioni erano senza dubbio buone, e anche di ciò gli si è tenuto conto. L'intenzione attenua il male e merita indulgenza, ma non impedisce che ciò che è male continui a essere male. Senza questo, con la scusa dell'intenzione, si arriverebbe a scusare ogni delitto, e si potrebbe anche uccidere col pretesto di rendere un servigio. Una madre che uccidesse la sua creatura, nella convinzione di mandarla dritta in cielo, è forse meno colpevole, perché lo fa con una buona intenzione? Con questo sistema si giustificherebbero tutti i crimini che un cieco fanatismo ha spinto a commettere nelle guerre di religione.

In linea di massima, l'uomo non ha il diritto di disporre della sua vita, perché essa gli è stata data in vista dei doveri ch'egli deve compiere sulla Terra, ed è per questo che non deve abbreviarla volontariamente per nessun motivo. Siccome ha il suo libero arbitrio, nessuno può impedirglielo, ma sempre ne subisce le conseguenze. Il suicidio più severamente punito è quello che viene compiuto per disperazione, e con la prospettiva di liberarsi delle miserie della vita. Essendo queste miserie delle prove e allo stesso tempo delle espiazioni, sottrarsi a esse vuol dire indietreggiare di fronte all'impegno che uno aveva pur accettato, a volte anche di fronte alla missione che uno avrebbe dovuto compiere.

Il suicidio non consiste soltanto nell'atto volontario che porta alla morte istantanea. Esso consiste anche in tutto ciò che si fa, con cognizione di causa, per affrontare in modo prematuro l'estinzione delle forze vitali.

Non s i può assimilare al suicidio l'abnegazione di colui che si espone a una morte imminente per salvare un suo simile. Innanzi tutto perché non c'è, in questo caso, nessuna intenzione premeditata di sottrarsi alla vita; in secondo luogo, perché non c'è pericolo da cui la Provvidenza non possa trarci, se l'ora di lasciare la Terra non è ancora arrivata. La morte — se essa avviene in simili circostanze — è un sacrificio meritorio, perché è un gesto di abnegazione a vantaggio altrui. (Il Vangelo secondo lo Spiritismo, cap. V, nn. 5, 6, 18 e 19).


Louvet François-Simon (di Le Havre)


La comunicazione che qui riportiamo è stata spontaneamente resa, in una riunione spiritista, a Le Havre, il 12 febbraio 1863.

"Potrete voi aver mai pietà di un povero miserabile che da sì lungo tempo soffre di tanto crudeli torture? Oh, il vuoto... lo spazio... cado, io cado, aiuto!... Mio Dio, ho avuto una così miserabile vita!... Ero un povero diavolo. Spesso, nei giorni della mia vecchiaia, soffrivo la fame; è per questo che mi ero messo a bere e avevo vergogna e disgusto di tutto... Ho deciso di morire e mi sono gettato... Oh, mio Dio, che momento!... Ma perché desiderare di farla finita quando ero così vicino alla fine? Pregate! Perché io più non veda sempre quel vuoto sotto di me. . . Sto per sfracellarmi su quelle rocce!... Ve ne scongiuro!... Io mi rivolgo a voi, a voi che conoscete le miserie di quelli che non sono più sulla Terra, a voi, benché voi non mi conosciate, perché io soffro tanto... Perché volere delle prove? Soffro, non è abbastanza? Se io avessi fame invece di questa sofferenza ben più terribile, ma invisibile per voi, non esitereste a consolarmi dandomi un pezzo di pane. Vi chiedo di pregare per me... non posso restare più a lungo... Domandate a uno di questi beati che si trovano qui, e saprete chi erro. Pregate per me."

François-Simon Louvet


La guida del medium. Colui che si è rivolto a te, figlio mio, è un povero disgraziato, che aveva sulla Terra la prova della miseria; ma il disgusto l'ha sopraffatto, il coraggio gli è venuto meno, e lo sventurato, invece di guardare al cielo, come avrebbe dovuto fare, si è dato al bere. Ha toccato i limiti estremi della disperazione e ha posto fine alla sua triste prova gettandosi dalla torre di Francesco I, il

22 luglio 1857. Abbiate pietà della sua povera anima, che non è progredita, ma che ha tuttavia una tale cognizione della vita futura tanto da soffrire e desiderare una nuova prova. Pregate Dio perché gli accordi questa grazia, e farete un'opera buona.

Fatte le dovute ricerche, si trovò nel Journal du Havre del 23 luglio 1857 il seguente articolo, che così vi riassumiamo:

"Ieri, alle quattro pomeridiane, quanti passeggiavano sul molo sono rimasti dolorosamente impressionati da un tragico incidente: un uomo si è lanciato dalla torre ed è andato a sfracellarsi sulle rocce. Si tratta di un vecchio mozzo d'alzaia, che il vizio del bere ha condotto al suicidio. Si chiamava Frarwois-Victor-Simon Louvet. Il suo corpo è stato trasportato in casa di una delle sue figlie, in me de la Corderie. Aveva sessantasette anni."

Dopo circa sei anni dacché quest'uomo è morto, egli si vede sempre precipitare giù dalla torre e andare a sfracellarsi sulle rocce. Il vuoto che ha davanti a sé lo terrorizza; vive le angosce della caduta... e questo dopo ben sei anni! Quanto durerà tutto ciò? Non ne sa niente, e tale incertezza aumenta le sue angosce. Non vale forse questo l'inferno e le sue fiamme? Chi ha rivelato questi castighi? Sono forse stati inventati? No! Sono quelli stessi che li hanno patiti che vengono a descriverceli; così come altri ci descrivono le loro gioie. Spesso essi lo fanno spontaneamente, senza che si pensi a loro, il che esclude qualsiasi ipotesi circa il fatto che si possa esser vittime della propria immaginazione.


Una madre e suo figlio


Nel mese di marzo del 1865, M. C..., una negoziante di una piccola città vicino a Parigi, aveva in casa il maggiore dei suoi figli, di ventuno anni, gravemente ammalato. Questo giovane uomo, sentendosi sul punto di spirare, chiamò sua madre ed ebbe ancora la forza di abbracciarla. Ella, piangendo a dirotto, gli disse: "Va', figlio mio, precedimi, io non tarderò a seguirti". Detto questo, uscì dalla stanza nascondendosi il volto fra le mani.

Le persone presenti a questa scena straziante considerarono le parole della signora C... semplicemente un'esplosione di dolore che il tempo e la ragione avrebbero placato. Tuttavia, il malato spirò e si dovette cercare la madre per tutta la casa. La si trovò: impiccata in un granaio. Il funerale della madre fu fatto contemporaneamente a quello di suo figlio.

(Evocazione del figlio, parecchi giorni dopo l'avvenimento) Siete venuto a conoscenza della morte di vostra madre, la quale si è suicidata non avendo retto alla disperazione che le ha procurato la vostra perdita?

«Sì. Senza il dolore che mi ha causato la messa in atto della sua fatale risoluzione, io sarei perfettamente felice. Povera, la mia meravigliosa madre! Essa non ha saputo sopportare la prova di questa separazione momentanea, e ha preso, per essere riunita a suo figlio che tanto amava, la strada che l'avrebbe allontanata da lui e, ahimè, per lungo tempo. Ha così ritardato indefinitamente questo ricongiungimento che sarebbe stato tanto rapido se la sottomissione alla volontà del Signore avesse colmato la sua anima, e se ella si fosse rassegnata, umile e ravveduta, davanti alla prova che stava per subire, e alla espiazione che l'avrebbe purificata!

Pregate! Oh, pregate per lei!... E, soprattutto, oh madri che vi siete commosse al triste racconto della sua morte, non imitatela! Non crediate ch'ella amasse meglio di altre madri questo figlio che era la sua gioia e il suo orgoglio. No. Non amava meglio, ma ha mancato di coraggio e di rassegnazione. Madri che mi ascoltate, quando vedrete il tormento dell'agonia velare gli occhi spenti dei vostri figli, ricordatevi che, come Cristo, essi stanno salendo verso la vetta del calvario, da dove si innalzeranno nella gloria eterna.»

BENJAMIN C...


Evocazione della madre. Voglio vedere mio figlio! Voi avete il potere di rendermelo?... Crudeli!... Me l'hanno preso per condurlo nella luce e mi hanno lasciata nelle tenebre!... Io lo voglio, lo voglio... mi appartiene!... Non vale dunque nulla l'amore materno?... Insomma averlo portato in grembo nove mesi; avere nutrito col proprio latte la carne della propria carne, il sangue del proprio sangue; aver guidato i suoi primi passi; avergli insegnato a balbettare il nome sacro di Dio e il dolce nome di mamma; averne fatto un uomo pieno di energie, d'intelligenza, di onestà, di dirittura morale, di amore filiale, e perderlo quando si stavano realizzando le speranze che erano state concepite per lui, quando un brillante avvenire stava schiudendosi davanti a lui! No. Dio non è giusto; questo non è il Dio delle madri; Egli non comprende la loro disperazione e il loro dolore... e quando mi dò la morte per non lasciare il mio ragazzo di nuovo me lo si toglie!... Figlio, figlio mio dove sei?

L'evocatore. Povera madre, noi abbiamo compassione del vostro dolore, ma voi avete adottato un triste mezzo per ricongiungervi a vostro figlio. Il suicidio è un delitto agli occhi di Dio, e voi avreste dovuto sapere che Egli punisce ogni infrazione alle Sue leggi. La mancata visione di vostro figlio è la vostra punizione.

La madre. No! Io credevo Dio migliore degli uomini. Io non credevo al Suo inferno, ma al ricongiungimento eterno delle anime che si sono amate come noi ci amavamo. Mi sono ingannata... Egli non è quel Dio giusto e buono, dal momento che non ha compreso l'immensità del mio dolore e del mio amore!... Oh! Chi mi renderà mio figlio? L'ho, dunque, perduto per sempre? Pietà! Pietà, mio Dio!

L'evocatore. Andiamo, calmate la vostra disperazione. Pensate che, se esiste un mezzo per rivedere vostro figlio, questo non è certo quello di bestemmiare Dio, come voi state facendo. Invece di renderveLo propizio, voi attirate su di voi una Sua maggiore severità.

La madre. Mi hanno detto che non lo rivedrò mai più. Ho capito che è in paradiso che l'hanno condotto. E io? Io sono dunque all'inferno?... L'inferno delle madri? Esiste... Esiste, lo vedo anche troppo!

L'evocatore. Vostro figlio non è affatto perduto; non è perduto per sempre, credetemi. Voi lo rivedrete di certo. Ma è necessario meritarlo con la vostra sottomissione alla volontà di Dio. Invece, con la ribellione voi potreste ritardare questo momento indefinitamente. Ascoltatemi; Dio è infinitamente buono, ma è anche infinitamente giusto. Egli non punisce mai senza una causa, e se vi ha inflitto dei grandi dolori sulla Terra, è perché voi li avevate meritati. La morte di vostro figlio era una prova per la vostra rassegnazione. Sfortunatamente voi avete ceduto da viva, ed ecco che, dopo la vostra morte, di nuovo cedete. Come volete che Dio ricompensi i suoi figli ribelli? Ma Egli non è inesorabile: Egli accoglie sempre il pentimento del colpevole. Se voi aveste accettato senza lamentele e con umiltà la prova ch'Egli vi inviava con questa separazione momentanea, e se pazientemente aveste atteso il momento in cui a Lui fosse piaciuto portarvi via dalla Terra, al vostro ingresso nel mondo in cui siete, immediatamente avreste rivisto vostro figlio, che sarebbe venuto a ricevervi e a tendervi le braccia. Voi avreste avuto la gioia di vederlo radioso dopo questa assenza. Ciò che avete fatto e ciò che ancora state facendo in questo momento, alza una barriera tra voi e lui. Non crediate ch'egli sia disperso tra le profondità dello Spazio. No! Egli vi è più vicino di quanto possiate credere. Ma un velo impenetrabile lo sottrae alla vostra vista. Egli vi vede, vi vuole sempre bene e soffre per la dolorosa posizione in cui vi ha sprofondata la vostra mancanza di fede in Dio. Vivamente egli si augura che giunga presto il felice momento in cui gli sarà permesso di mostrarsi a voi. Dipende solo da voi accelerare o ritardare questo momento. Pregate Dio e dite con me: "Mio Dio, perdonatemi d'aver dubitato della Vostra giustizia e della Vostra bontà. Se mi avete punita, io riconosco di averlo meritato. DegnateVi di accettare il mio pentimento e la mia sottomissione alla Vostra santa volontà."

La madre. Quale luce di speranza voi state per far splendere nella mia anima! È un bagliore, in questa notte che mi circonda. Grazie!

Vado a pregare. Addio!

C...


La morte, anche a causa del suicidio, non ha prodotto in questo Spirito l'illusione di credersi ancora vivo; egli ha perfetta consapevolezza del suo stato. Presso altri, invece, la punizione consiste proprio in questa illusione, nei legami, cioè, che li vincolano ancora ai loro corpi. Questa donna ha voluto lasciare la Terra per seguire suo figlio nel mondo in cui egli era entrato: era necessario ch'ella sapesse che si trovava in quel mondo, dove non avrebbe ritrovato il figlio, per aver meritato d'essere punita. La sua punizione consiste precisamente nel sapere ch'essa non vive più fisicamente, e nella consapevolezza della sua condizione. Avviene così che ogni colpa è punita dalle circostanze che l'accompagnano e che non ci sono punizioni uniformi e costanti per gli errori del medesimo genere.


Doppio suicidio, per amore e per dovere


Un giornale del 13 giugno 1862 riportava il resoconto del seguente fatto di cronaca:

"La signorina Palmyre, modista, che abitava con i suoi genitori, era dotata di un aspetto seducente cui si univa il più amabile dei caratteri; perciò riceveva molte richieste di matrimonio. Fra gli aspiranti alla sua mano, ella aveva notato il signor B..., il quale provava per lei una viva passione. Pur essendone molto innamorata lei stessa, ella credette tuttavia di dover sottomettersi, per amore filiale, ai desideri dei suoi genitori, sposando il signor D..., la cui posizione sociale sembrava loro più vantaggiosa rispetto a quella del suo rivale.

Il signor B... e il signor D... erano intimi amici. Pur non essendoci tra loro alcun rapporto d'interessi, essi non cessarono di vedersi. Il reciproco amore di B... e di Palmyre, divenuta la signora D..., non si era per nulla affievolito; e quantunque cercassero entrambi di soffocarlo, questo aumentava d'intensità, in ragione proporzionalmente diretta al loro sforzo per soffocarlo. Per cercare di spegnerlo, B... prese la decisione di sposarsi. Sposò una giovane donna che possedeva eccellenti qualità, e fece tutto il possibile per amarla. Ma non tardò ad accorgersi che questo eroico mezzo non serviva a guarirlo. Nondimeno, per quattro anni, né B... né la signora D... vennero meno ai loro doveri. Ciò che dovettero soffrire non si può esprimere, perché D..., che voleva veramente bene al suo amico, lo invitava sempre a casa sua, e quando quello voleva fuggirsene via, lo costringeva a restare.

I due innamorati, ritrovatisi un giorno l'uno accanto all'altra per una circostanza fortuita, che essi non avevano affatto cercata, si misero l'un l'altra a parte del loro sentimento e furono d'accordo nel ritenere che la morte era il solo rimedio alle sofferenze che pativano. Stabilirono di darsi la morte insieme e di mettere in atto il loro piano il giorno dopo, poiché il signor D... si sarebbe dovuto assentare dalla sua abitazione per gran parte della giornata. Dopo aver fatto i loro ultimi preparativi, scrissero una lunga e toccante lettera, spiegando che il motivo per cui essi si davano la morte era quello di non voler mancare ai loro doveri. La lettera terminava con una richiesta di perdono e con la preghiera d'essere riuniti nella stessa tomba.

Allorché il signor D... fece ritorno, li trovò asfissiati. Egli ha rispettato le loro ultime volontà e ha voluto che nel cimitero essi non fossero separati."

Proposto questo fatto alla Società di Parigi, come soggetto di studio, uno Spirito rispose:

"I due innamorati che si sono suicidati non sono ancora in grado di rispondervi. Io li vedo: sono immersi nel perturbamento e terrorizzati dalla prospettiva dell'eternità. Le conseguenze morali della loro colpa peseranno su di loro durante migrazioni successive, nelle quali le loro anime, separate, si cercheranno incessantemente e soffriranno il doppio supplizio di presentirsi e di desiderarsi invano. Compiutasi l'espiazione, essi saranno riuniti per sempre in seno all'eterno amore. Entro otto giorni, nella vostra prossima seduta, voi potrete evocarli. Verranno, ma tra di loro non si vedranno: una notte profonda li nasconderà per lungo tempo l'uno dall'altra."

1. Evocazione della donna. Vedete qui il vostro innamorato, con il quale vi siete suicidata?

«Non vedo nulla. Non vedo neppure quegli Spiriti che soffrono con me, nella dimora dove io mi trovo. Che notte! Che notte! E che velo spesso sul mio volto!»

2. Che sensazione avete provato quando vi siete risvegliata dopo la morte?

«Una sensazione strana! Avevo freddo, eppure bruciavo; scorreva ghiaccio nelle mie vene, e c'era fuoco sulla mia fronte! Che strana cosa, che mescolanza inaudita! Ghiaccio e fuoco sembrano circondarmi! Pensai che stavo per morire una seconda volta!»

3. Provate qualche dolore fisico?

«Ogni mia sofferenza è qua, e qua.»

— Che cosa intendete dire con qua e qua?

«Qua nel mio cervello. Qua nel mio cuore.»

È probabile che, se si fosse potuto vedere lo Spirito, lo si sarebbe visto portarsi la mano alla fronte e al cuore.

4. Credete che vi troverete sempre in questa situazione?

«Oh, sempre! Sempre! A volte sento delle risate infernali, delle voci spaventose che mi urlano queste parole: "Sempre così!"»

5. Ebbene noi possiamo dirvi con tutta sicurezza che non sarà sempre così. Pentendovi, voi otterrete il vostro perdono.

«Che cosa avete detto? Non sento.»

6. Vi ripeto che le vostre sofferenze avranno un termine, e che voi potrete accelerare questo termine con il vostro pentimento, mentre noi vi aiuteremo in questo con la preghiera.

«Io non ho sentito che una sola parola e alcuni suoni. Questa parola è grazia! È della grazia che avete voluto parlare? Voi avete parlato di grazia; ma senza dubbio vi siete rivolti all'anima che mi passa accanto, povera creatura che piange e spera.»

Una signora della Società disse che aveva appena rivolto a Dio una preghiera per quella sventurata, e che senza dubbio era questo che l'aveva colpita; poiché, in effetti, essa aveva mentalmente implorato per lei la grazia di Dio.

7. Voi dite che siete nelle tenebre. E non vedete neppure noi?

«Riesco appena a udire qualcuna delle parole che voi pronunciate, ma null'altro vedo se non un velo nero, sul quale, in certe ore, si disegna un volto piangente.»

8. Se non vedete il vostro innamorato, non ne avvertite la presenza accanto a voi? Egli è qui, infatti.

«Ah, non parlatemi di lui! Per ora devo dimenticarlo, se voglio che dal velo si cancelli l'immagine che vi scorgo tracciata.»

9. Qual è questa immagine?

«Quella di un uomo che soffre e di cui io ho ucciso, per lungo tempo, l'esistenza morale sulla Terra.»

Leggendo questa cronaca, si è a tutta prima portati a trovare per questo suicidio delle circostanze attenuanti, a guardare a esso, anzi, come a un atto eroico, poiché è stato causato dal sentimento del dovere. Si vede che è stato giudicato altrimenti, e si ha una pena dei colpevoli così lunga e terribile per essersi volontariamente rifugiati nella morte al fine di sfuggire alla lotta. L'intenzione di non mancare ai loro doveri era senza dubbio onorevole — e di questo sarà loro tenuto conto più tardi — ma il vero merito sarebbe stato quello di vincere la tentazione, mentre essi si sono comportati come il disertore, il quale fugge nel momento del pericolo.

La pena dei due colpevoli consisterà, come si vede, nel cercarsi a lungo senza incontrarsi, sia nel mondo degli Spiriti, sia in altre incarnazioni terrene. Tale pena è momentaneamente aggravata dall'idea che il loro stato presente debba durare per sempre. Poiché questo pensiero fa parte del castigo, non è stato loro permesso d'intendere le parole di speranza che venivano loro rivolte. A quanti trovassero questa pena troppo terribile e troppo lunga — soprattutto se essa non deve cessare che dopo parecchie incarnazioni — noi diremo che la sua durata non è assoluta, e che essa dipenderà dal modo con cui essi sopporteranno le loro prove future; a questo li si può aiutare con la preghiera. Saranno essi stessi, come tutti gli Spiriti colpevoli, arbitri del loro stesso destino. Ciò, tuttavia, non è sempre meglio della dannazione eterna, senza speranza, a cui sono irrevocabilmente condannati, secondo la dottrina della Chiesa, che li considera per sempre votati all'inferno, tanto che ha rifiutato loro le ultime preghiere, ritenendole senza dubbio inutili?


Louis e la cucitrice di stivaletti


Da circa setto od otto mesi, un certo Louis G..., operaio calzaturiero, faceva la corte a una signorina, Victorine R, cucitrice di stivaletti, con la quale si sarebbe dovuto sposare di lì a poco, visto che le pubblicazioni di nozze erano già in corso. Trovandosi le cose a questo punto, i due giovani si consideravano quasi come se fossero definitivamente uniti, e, per motivi di economia, l'operaio andava ogni giorno a pranzare a casa della sua futura sposa.

Un giorno, venuto Louis a pranzo, come al solito, a casa della ragazza, esplose tra loro un litigio per futili motivi. Ci si ostinò da una parte e dall'altra, e le cose arrivarono a un punto tale che Louis lasciò la tavola e se ne andò giurando che non sarebbe tornato mai più.

Il giorno dopo, tuttavia, l'operaio andò a chiedere perdono: la notte, si sa, porta consiglio. Ma la ragazza, prevedendo forse, dopo la scena del giorno prima, ciò che sarebbe potuto accadere quando non ci fosse più stato tempo di indietreggiare, rifiutò di riconciliarsi. Nulla poté commuoverla: né le sue proteste né le sue lacrime né la sua disperazione. Parecchi giorni erano ormai passati dal giorno del litigio, e Louis, sperando che la fidanzata fosse nel frattempo divenuta più trattabile, volle fare un ultimo tentativo. Egli dunque va e bussa in modo da farsi riconoscere, ma dall'altra parte ci si rifiuta di aprirgli. Allora, nuove suppliche da parte dell'innamorato respinto, nuove proteste attraverso la porta, ma niente può toccare il cuore dell'implacabile ragazza. "E allora addio, malvagia!" urla infine il povero giovine. "Addio per sempre! Provatevi a incontrarlo un marito che vi ami tanto quanto me!" Nello stesso momento, la ragazza sente una sorta di gemito soffocato, poi come il rumore di un corpo che cade scivolando lungo la sua porta. Quindi tutto ripiomba nel silenzio. Allora ella s'immagina che Louis si sia installato sulla soglia, per attenderla non appena fosse uscita. Ma la ragazza si ripromette di non mettere il piede fuori fin tanto che lui fosse rimasto là.

Era appena passato un quarto d'ora dacché ciò era successo, quando un inquilino, passando sul pianerottolo con una lampada in mano, lanciò un grido di spavento e chiese aiuto. Subito arrivano i vicini, e la signorina Victorine, che nel frattempo ha aperto la porta, getta un grido d'orrore scorgendo disteso sul pavimento il suo innamorato, pallido ed esanime. Ciascuno si avvicina a lui per prestargli soccorso, ma ben presto ci si accorge che tutto è inutile, e che lo sventurato ha cessato di vivere. L'infelice giovine si era conficcato il suo trincetto nel cuore e il ferro era rimasto nella ferita.

(Società Spiritista di Parigi, agosto 1858)

1. Allo Spirito di san Luigi. La ragazza, causa involontaria della morte del fidanzato, ne è responsabile?

«Sì, perché non lo amava.»

2. Per evitare questa disgrazia, avrebbe dovuto sposarlo malgrado la sua ritrosia?

«Ella cercava un'occasione per separarsi da lui e ha fatto, all'inizio della loro relazione, ciò che avrebbe fatto più tardi.»

3. Così la sua colpevolezza consisterebbe nell'aver alimentato in lui dei sentimenti ch'ella non condivideva, sentimenti che sono stati la causa della morte del giovane?

«Sì. È proprio così.»

4. Allora la sua responsabilità, in questo caso, deve essere proporzionale alla sua colpa. Non deve, cioè, essere tanto rilevante quanto quella che avrebbe avuta se ella avesse volontariamente provocata la sua morte. È così?

«Questo salta agli occhi.»

5. Il suicidio di Louis trova una scusante nello smarrimento in cui l'aveva gettato l'ostinazione di Victorine?

«Sì. Infatti, il suo suicidio, che deriva dall'amore, è meno delittuoso agli occhi di Dio del suicidio dell'uomo che vuole liberarsi della vita per motivi di codardia.»

Allo Spirito di Louis G..., che era stato evocato un'altra volta, vengono rivolte le seguenti domande:

1. Che cosa pensate del gesto che avete commesso?

«Victorine è un'ingrata. Io ho avuto torto a uccidermi per lei, perché lei non lo meritava affatto.»

2. Ella, dunque, non vi amava?

«No. All'inizio, deve averlo creduto; si faceva delle illusioni. La scenata che le ho fatto le ha aperto gli occhi. Così è stata contenta di questo pretesto per sbarazzarsi di me.»

3. E voi, l'amavate sinceramente?

«Nutrivo della passione per lei. Ecco tutto. Almeno, credo. Se l'avessi amata di un amore puro, non avrei mai voluto procurarle un tale dolore.»

4. Se ella avesse saputo che volevate realmente uccidervi, avrebbe persistito nel suo rifiuto?

«Non so. Ma non credo, perché non è cattiva; ma sarebbe stata infelice. Per lei, è ben meglio che le cose siano andate così.»

5. Arrivato davanti alla sua porta, avevate già intenzione di ucciderviin caso di rifiuto?

«No. Non ci pensavo. Non credevo che Victorine sarebbe stata così ostinata. Ciò è avvenuto solo quando ho visto la sua ostinazione: fu allora che mi prese una specie di vertigine.»

6. Voi sembrate dispiacervi del vostro suicidio solo perché Victorine non meritava il vostro sacrificio. È questo il solo sentimento che provate?

«In questo momento, sì. Sono ancora tutto sottosopra. Mi sembra di essere ancora davanti a quella porta. Ma avverto anche un'altra sensazione che non riesco a definire.»

7. Pensate che la comprenderete più avanti?

«Sì, quando sarò libero da questo perturbamento... Ciò che ho fatto è male; avrei dovuto lasciarla in pace... Sono stato debole e ne pago le conseguenze... Vedete, la passione acceca l'uomo e gli fa fare le cose più assurde. E l'uomo capisce questo quando non è più in tempo.»

8. Voi dite che ne state pagando le conseguenze. Quali sono le pene che subite?

«Io ho avuto torto ad abbreviare la mia vita; non avrei dovuto farlo. Dovevo sopportare ogni cosa piuttosto che farla finita prima del tempo. E poi sono infelice. Soffro. È sempre lei che mi fa soffrire. Mi sembra di essere ancora là, davanti alla sua porta. Ingrata! Non parlatemene più; non voglio più pensarci; mi fa troppo male. Addio.»

Si ha qui una nuova prova della giustizia, la quale presiede alla distribuzione delle pene dei colpevoli secondo il grado della loro responsabilità. Nella presente circostanza, la colpa principale è imputabile alla ragazza, che aveva fomentato in Louis un amore ch'ella non condivideva, con cui però si divertiva. Toccherà dunque a lei la maggior parte della responsabilità. Per quanto riguarda il giovane, egli è punito con la sofferenza che sta patendo. Ma la sua pena è leggera, poiché egli non ha fatto che cedere a un moto irriflessivo e a un momento di esaltazione, e non alla fredda premeditazione di quelli che si suicidano per sottrarsi alle prove della vita.


Un ateo


M.J.B.D... era una persona istruita, ma imbevuta fino all'ultimo grado di idee materialiste, non credendo né a Dio né alla propria anima. Egli era stato evocato due anni dopo la sua morte, presso la Società di Parigi, su richiesta di uno dei suoi parenti.

1. Evocazione. «Soffro! Sono un empio.»

2. Siamo stati pregati di chiamarvi, da parte di alcuni vostri parenti che desiderano conoscere la vostra sorte. Vogliate cortesemente comunicarci se la nostra evocazione vi è gradita o penosa.

«Penosa.»

3. La vostra morte è stata volontaria?

«Sì.»

Lo Spirito scrive con una difficoltà estrema. La grafia, che ha caratteri molto grandi e irregolari, è tremolante e quasi illeggibile. In principio lo Spirito si mostra furioso: spezza la matita e riduce in pezzi il foglio.

4.Siate più calmo. Noi tutti pregheremo Dio per voi.

«Sono costretto a credere in Dio.»

5. Quale motivo ha potuto portarvi al suicidio?

«La noia della vita senza speranza.»

Si giunge a concepire il suicidio quando la vita è senza speranza; ci si vuole sottrarre all'infelicità a tutti i costi. Con lo Spiritismo, invece, ci si spiega il futuro e, perciò, si legittima la speranza: il suicidio cessa così di essere un obiettivo; ben di più, poiché, si riconosce che, attraverso questo mezzo, si sfugge a un male solo per cadere in un altro che è cento volte peggiore. Ecco perché lo Spiritismo ha già strappato tante vittime alla morte volontaria. Grandemente colpevoli sono coloro che si sforzano di dar credito — attraverso sofismi scientifici, e facendo credere che ciò sia nel nome della ragione — a questa idea sconfortante, fonte di tanti mali e di tanti crimini, secondo la quale tutto finisce con la vita! Essi saranno considerati responsabili non solo dei loro propri errori, ma anche di tutti i mali di cui essi saranno stati causa.

6. Avete voluto sfuggire alle vicissitudini della vita. Ci avete guadagnato qualcosa? Ora, siete forse più felice?

«Perché non esiste il nulla?»

7. Vogliate essere così comprensivo da descriverci la vostra situazione meglio che potete.

«Io soffro per essere obbligato a dover credere a tutto ciò che negavo. Il mio Spirito è come se fosse in un braciere; è tormentato orribilmente.»

8. Da dove provenivano le idee materialiste che voi avevate quando eravate vivo?

«In un'altra esistenza io ero stato un essere malvagio, e il mio Spirito fu per questo condannato, nell'esistenza successiva, a soffrire i tormenti dell'incertezza. Così mi sono ucciso.»

C'è qui tutto un corollario di idee. Spesso ci si domanda come possano esistere dei materialisti, poiché, essendo già passati attraverso il mondo spirituale, dovrebbero di questo serbare almeno l'intuizione. Orbene, è precisamente questa intuizione che viene rifiutata a certi Spiriti, che hanno conservato il loro orgoglio e non si sono pentiti delle loro colpe. La loro prova consiste nell'acquisire, durante la vita corporea, e a prezzo del loro stesso raziocinio,la dimostrazione dell'esistenza di Dio e della vita futura, che hanno, per così dire, incessantemente sotto gli occhi. Ma, sovente, la presunzione di non voler ammettere nulla che sia al di fuori di loro stessi ha ancora il sopravvento, ed essi ne subiscono la pena fin quando, essendo stato il loro orgoglio domato, si arrendono infine all'evidenza.

9. Quando vi siete dato la morte annegandovi, che cosa avete pensato che sarebbe stato di voi? Quali riflessioni avete fatto in quell'istante?

«Nessuna, poiché il nulla era tutto per me. Solo in seguito ho preso coscienza che, non avendo scontato interamente la mia condanna, avrei sofferto ancora per molto.»

10. Ora, siete convinto dell'esistenza di Dio, dell'anima e della Vita futura?

«Ahimè! Sono perfino troppo tormentato da questo!»

11. Avete rivisto vostro fratello?

«Oh, no!»

12. E perché no?

«Perché mettere insieme i nostri tormenti? La gente si apparta nella sventura e si aggrega nella felicità, ahimè!»

13. Sareste contento di rivedere vostro fratello che noi potremmo chiamare qui, accanto a voi?

«No, no sono troppo in basso.»

14. Perché non volete che noi lo chiamiamo?

«Il fatto è che neppure lui è felice.»

15. Voi temete la sua presenza. Non pensate che questo potrebbe farvi solo del bene?

«No. Più tardi.»

16. Desiderate far dire qualcosa ai vostri parenti?

«Che si preghi per me.»

17. Pare che, nella società che voi frequentavate, alcune persone condividano le opinioni che voi avevate da vivo. Avreste qualcosa da dir loro su questo argomento?

«Ah, i disgraziati! Possano essi credere in un'altra vita! È quanto di più felice io mi senta di augurar loro. Se riuscissero a comprendere la mia triste posizione, ciò li farebbe riflettere a lungo.»

(Evocazione del fratello del precedente, che professava le medesime idee, ma che non si è suicidato. Sebbene infelice, egli è più calmo; la sua scrittura è nitida e leggibile.)

18. Evocazione. «Possa il quadro delle nostre sofferenze esservi di lezione, e persuadervi che esiste un'altra vita, dove si espiano le proprie colpe e la propria miscredenza.»

19. Voi e vostro fratello, che abbiamo appena evocato, vi vedete?

«No. Lui mi evita.»

Ci si potrebbe domandare come possano gli Spiriti sfuggirsi l'un l'altro nel mondo degli Spiriti, dove non esistono né barriere né luoghi appartati nascosti alla vista. Tutto, in questo mondo, è relativo e in rapporto con la natura fluidica degli esseri che lo abitano. Solo gli Spiriti superiori hanno delle percezioni indefinite, mentre negli Spiriti inferiori esse sono limitate; inoltre, su questi ultimi, gli ostacoli fluidici fanno l'effetto di ostacoli materiali. Gli Spiriti si sottraggono alla vista gli uni con gli altri per effetto della loro volontà, che agisce sull'involucro del loro perispirito e sui fluidi ambientali. Ma la Provvidenza, che veglia su ciascuno individualmente, come una madre sui suoi figli, concede loro o rifiuta questa facoltà, secondo le disposizioni morali di ciascuno, cosa che costituisce, secondo le circostanze, una punizione o una ricompensa.

20. Voi siete più calmo di lui. Potreste darci una descrizione più precisa delle vostre sofferenze?

«Sulla Terra non soffrite forse nel vostro amor proprio, nel vostro orgoglio quando siete obbligati a riconoscere i vostri errori? Non si ribella forse il vostro Spirito al pensiero di dovervi umiliare davanti a quello che vi dimostra che siete in errore? Ebbene, quanto pensate che soffra lo Spirito che, per una intera esistenza, si è persuaso che nulla esiste dopo di lui e che solo lui ha ragione contro tutti, quando tutt'a un tratto si trova faccia a faccia con l'imponente verità? Si sente annientato, umiliato. A ciò viene anche ad aggiungersi il rimorso d'aver potuto, per così lungo tempo, dimenticare l'esistenza d'un Dio tanto buono, tanto indulgente. Il suo stato gli è insopportabile: non riesce a trovare né calma né riposo. Ritroverà un po' di tranquillità soltanto nel momento in cui la grazia divina, ciò l'amore di Dio, lo toccherà. L'orgoglio, infatti, s'impadronisce in modo tale del nostro povero Spirito da avvilupparlo completamente, e gli occorrerà ancora molto tempo per disfarsi di questo rivestimento fatale. Solo la preghiera dei nostri fratelli può aiutarci a sbarazzarcene.»

21. Volete parlarci dei vostri fratelli incarnati o Spiriti?

«Vi parlerò degli uni e degli altri.»

22. Mentre ci intrattenevamo con vostro fratello, una persona qui presente ha pregato per lui. Questa preghiera gli è stata utile?

«Di certo non andrà perduta. Se egli ora rifiuta la grazia, essa gli tornerà benaccetta quando sarà in condizione di ricorrere a questa divina panacea.»

Noi vediamo qui un altro genere di castigo, che però non è il medesimo presso tutti i miscredenti. C'è, indipendentemente dalla sofferenza, la necessità per questo Spirito di riconoscere le verità che egli aveva rinnegate da vivo. Le sue idee attuali denotano un certo progresso relativamente ad altri Spiriti che persistono nella negazione di Dio. Ammettere che ci si è ingannati è già qualcosa, è un inizio di umiltà. È più che probabile che, nella sua prossima incarnazione, la miscredenza farà posto al sentimento innato della fede.

Essendo stato il risultato di queste due evocazioni trasmesso alla persona che ci aveva pregato di farle, ricevemmo da questa la seguente risposta:

"Voi non potete immaginare, mio caro signore, il grande beneficio avuto dall'evocazione di mio suocero e mio zio. Li abbiamo perfettamente riconosciuti; la scrittura del primo, soprattutto, ha un'analogia stupefacente con quella ch'egli aveva da vivo; ancor meglio in quanto, negli ultimi mesi ch'egli ha passato con noi, essa era irregolare e indecifrabile. Vi ritroviamo la medesima forma delle lettere ascendenti, del ghirigoro e di certe lettere particolari. Quanto ai termini, alle espressioni e allo stile, la cosa è ancora più sorprendente; per noi, l'analogia è perfetta, se non ch'egli è qui più illuminato su Dio, sull'anima e sull'eternità, tutti argomenti che altre volte negava tassativamente. Noi siamo dunque perfettamente convinti della sua identità. Dio, grazie alla nostra fermissima fede nello Spiritismo, ne sarà glorificato, e i nostri fratelli, disincarnati e incarnati, diverranno migliori. L'identità di suo fratello non è certo meno evidente. Nella differenza pur immensa tra l'ateo e il credente, noi abbiamo riconosciuto il suo carattere, il suo stile, il suo costrutto discorsivo. Ma una parola soprattutto ci ha colpito: panacea; era un suo termine usuale, e lo diceva e lo ripeteva a tutti e a ogni istante.

Ho comunicato queste due evocazioni a parecchie persone, che sono rimaste colpite dalla loro veridicità. Ma i miscredenti, quelli che condividono le opinioni dei miei due parenti, avrebbero voluto delle risposte ancor più categoriche. Secondo costoro M.D., per esempio, avrebbe dovuto precisare il luogo dove è stato sepolto, quello in cui si è annegato, in che modo vi si è risolto ecc. Per soddisfare e convincere costoro, non potreste evocarlo di nuovo? E, in tal caso, dovreste avere la bontà di rivolgergli le domande seguenti: — Dove e come ha compiuto il suicidio? — Quanto tempo è rimasto sott'acqua?

— In quale luogo è stato ritrovato il suo corpo? — In che posto è stato seppellito? — In quale maniera si è proceduto alla sua inumazione, civile o religiosa? Ecc.

Vogliate far sì, ve ne prego signore, che si risponda in modo categorico a queste domande, che sono essenziali per coloro che dubitano ancora. Sono convinto del bene immenso che ciò potrà produrre. Dal canto mio farò in modo che la mia lettera vi giunga domani, venerdì, affinché voi possiate fare questa evocazione nella seduta della Società che deve aver luogo il tal giorno... ecc."

A riprova dell'identità, abbiamo riportato questa lettera, la quale tale identità attesta. Aggiungiamo anche la risposta che a essa abbiamo dato, a beneficio delle persone che non hanno familiarità con le comunicazioni d'oltretomba.

"... Le domande, che voi ci pregate di rivolgere nuovamente allo Spirito di vostro suocero, sono senza dubbio dettate da una lodevole intenzione, quella cioè di convincere i miscredenti, dal momento che presso di voi non si ravvisa in tali domande alcun sentimento di dubbio e di curiosità. Ma una più approfondita conoscenza della scienza spiritista vi avrebbe fatto capire che esse sono superflue.

Innanzitutto, pregandomi voi di far rispondere categoricamente il vostro parente, dimostrate senza dubbio di ignorare che gli Spiriti non si possono governare a proprio piacimento. Essi rispondono quando vogliono, come vogliono e, spesso, come possono. La loro libertà d'azione è ancora più grande di quand'erano vivi, e hanno più mezzi per sottrarsi alla coercizione morale che si vorrebbe esercitare su di loro. Le migliori prove d'identità sono quelle ch'essi danno spontaneamente, di loro propria volontà, o che nascono dalle circostanze. E, queste, è quasi sempre inutile provocarle. Il vostro parente ha dimostrato la sua identità in maniera secondo voi inconfutabile. È dunque più che probabile che rifiuterebbe di rispondere a domande che, a buon diritto, egli può considerare non solo superflue, ma anche formulate allo scopo di soddisfare la curiosità di gente che è a lui indifferente. Egli potrebbe rispondere, come spesso hanno fatto altri Spiriti in casi simili: 'A che pro chiedermi di cose che già conoscete?' Aggiungerò anche che lo stato di turbamento e di sofferenza, in cui egli versa, potrebbe rendergli più dolorose richieste di questo genere. È esattamente come se si volesse costringere un malato, il quale può a malapena pensare e parlare, a raccontare dettagliatamente la propria vita. Ciò significherebbe di certo non aver riguardi per la sua condizione.

Quanto al risultato che speravate di ricavarne, esso sarebbe stato nullo, siatene persuasi. Le prove d'identità che sono state fornite hanno un valore ben più grande, per il fatto stesso che sono spontanee e non anticipatamente premeditate. Se poi i miscredenti non sono soddisfatti, non è che lo sarebbero di più; lo sarebbero forse ancor meno con delle domande prestabilite e che essi potrebbero sospettare di connivenza. Ci sono persone che niente e nessuno possono convincere; essi vedrebbero coi loro occhi il vostro parente in persona e si direbbero vittime di un'allucinazione.

Due parole ancora, signore, riguardo alla domanda che mi rivolgete: di fare, cioè, questa evocazione il giorno stesso in cui dovrei ricevere la vostra lettera. Le evocazioni non si fanno così, a bacchetta; non sempre gli Spiriti rispondono al nostro appello; bisogna per questo che essi lo possano o lo vogliano. Occorre, poi, un medium che sia a loro adeguato, che abbia le attitudini speciali necessarie, e che questo medium sia disponibile a un dato momento. È necessario, infine, che l'ambiente sia simpatico allo Spirito ecc. tutte circostanze, queste, di cui non si può mai rispondere con sicurezza e che è importante conoscere quando si vogliono fare le cose seriamente."


Il signor Félicien


Era un uomo, ricco, istruito e un arguto poeta; aveva un buon carattere, gentile e affabile; ma era, soprattutto, di perfetta onorabilità. Alcune speculazioni errate avevano compromesso le sue sostanze. L'età non gli consentiva più di ricostruirle, cedette perciò allo sconforto e si suicidò nel dicembre del 1864, impiccandosi nella sua camera da letto. Non era né un materialista né un ateo, ma un uomo dal carattere un po' superficiale, che della vita d'oltretomba si dava poco pensiero. Avendolo ben conosciuto, l'abbiamo evocato quattro mesi dopo la morte, per simpatia verso la sua persona.

Evocazione. «Io rimpiango la Terra. Vi ho incontrato delle delusioni, è vero, ma meno che qui. Io, che sognavo meraviglie mi trovo al di sotto del mio ideale di realtà. Il mondo degli Spiriti è molto promiscuo, e per renderlo sopportabile, ci sarebbe bisogno di una buona selezione. Non ne verrò più fuori! Quali studi sui costumi spiritisti si potrebbero realizzare qui! Balzac stesso potrebbe rispondere alla bisogna e sarcasticamente. Ma non l'ho visto. Dove si trovano dunque quei grandi Spiriti che tanto violentemente hanno sferzato i vizi dell'Umanità? Dovrebbero, come me, soggiornare qui per qualche tempo, prima di salire in regioni più elevate. È un curioso pandemonio, che mi piace osservare. E ci resto.»

Benché lo Spirito dichiari di trovarsi in una società molto mista e, di conseguenza, costituita da Spiriti inferiori, il suo linguaggio ci dava motivo di sorprenderci, dato il genere di morte, al quale egli non fa alcun riferimento. A parte questo, in tutto c'era il riflesso del suo carattere. Ma la cosa ci lasciava qualche dubbio sulla sua identità.

— Vogliateci dire, ve ne prego, in che modo siete morto.

«Come sono morto? Della morte che io ho scelto; quella che più mi è piaciuta. Per assai lungo tempo ho meditato circa quella che avrei dovuto scegliere per liberarmi della vita. E, in fede mia, confesso che non ci ho guadagnato granché, se non d'essermi liberato dei miei crucci materiali, per ritrovarmene, però, di più gravi e di più dolorosi nella mia condizione di Spirito, di cui non prevedo la fine.»

— (Alla guida del medium) È proprio lo Spirito del signor Félicien che ha risposto? Questo linguaggio quasi noncurante ci stupisce, trattandosi di un suicida.

«Sì, ma per un sentimento scusabile nella sua posizione — e che voi comprendereste —, egli non voleva rivelare al medium in che modo fosse morto; è per questo che ha parlato con supponenza. Ha finito per confessarlo, spinto dalla vostra domanda diretta, ma ne è molto sconvolto. Soffre assai per essersi suicidato ed evita, per quanto gli è possibile, tutto ciò che può ricordargli quella sua tragica fine.»

(Allo Spirito) La vostra morte ci ha molto colpito, tanto più che ne prevedevamo per voi le tristi conseguenze, e ciò soprattutto per la stima e l'affetto che vi serbavamo. Personalmente, io non ho affatto dimenticato come voi siete stato buono e gentile verso di me. Sarei felice di potervi dimostrare la mia riconoscenza, facendo per voi qualcosa che vi fosse utile.

«E nondimeno non potevo altrimenti sfuggire agli imbarazzi della mia posizione materiale. Ora non ho bisogno che di preghiere. Pregate soprattutto perché io sia liberato dalla compagnia di questi orribili esseri che mi stanno accanto e che mi assediano con le loro risate, con le loro crisi e con le loro beffe infernali. Mi chiamano vigliacco e hanno ragione. È una vigliaccheria abbandonare così la vita. Quattro le volte che soccombo a questa prova. Eppure mi ero ripromesso di non fallire... Fatalità!... Ah, pregate! Quale supplizio il mio! Sono così infelice! Pregando voi farete per me più di quanto non abbia fatto io per voi, quando ero sulla Terra. Ma la prova in cui ho così spesso fallito, si erge di fronte a me in tratti incancellabili. Bisogna che io la subisca di nuovo entro un determinato tempo. Ne avrò la forza? Ah, ricominciare la vita tante volte! Lottare per così lungo tempo ed essere trascinati, nostro malgrado, a soccombere è disperante, anche qui! È per questo che ho bisogno di forza. La si attinge nella preghiera, dicono: pregate per me. Voglio anch'io pregare.»

Questo particolare caso di suicidio, sebbene compiuto in circostanze molto comuni, si presenta nondimeno sotto un aspetto speciale. Esso ci mostra uno Spirito che ha fallito numerose volte quella prova, la quale si rinnova a ogni esistenza e si rinnoverà finché egli non avrà la forza di resistervi. È la conferma di quel principio secondo cui, quando lo scopo del miglioramento per il quale ci siamo incarnati non è raggiunto, noi abbiamo sofferto senza alcun vantaggio, perché occorre sempre che ricominciamo, finché non usciamo vittoriosi dalla lotta.

— (Allo Spirito del signor Félicien) Ascoltate, ve ne prego, ciò che sto per dirvi, e vogliate meditare sulle mie parole. Ciò che voi chiamate fatalità non esiste, altrimenti l'uomo non sarebbe responsabile delle sue azioni. L'uomo è sempre libero, e questo è il suo miglior privilegio. Dio non ha voluto farne una macchina che agisse e obbedisse ciecamente. Se questa libertà lo rende fallibile, lo rende anche perfettibile, ed è soltanto attraverso la perfezione ch'egli giunge alla felicità suprema. Solo il suo orgoglio lo porta ad accusare il Destino delle sue disgrazie sulla Terra, mentre il più delle volte non dovrebbe prendersela che con la sua incuria. Voi, nella vostra ultima esistenza, ne siete un chiaro esempio. Avevate tutto ciò che occorre per essere felici, secondo il concetto degli uomini sulla Terra: spirito, talento, ricchezze, meritata considerazione; non avevate affatto vizi rovinosi, ma, al contrario, delle stimabili virtù. In che modo la vostra posizione è venuta a trovarsi così radicalmente compromessa? Unicamente per la vostra imprevidenza. Convenitene: se aveste agito con più prudenza, se aveste saputo accontentarvi del molto che avevate, invece di cercare di accrescerlo senza necessità, non vi sareste rovinato. Non si è trattato dunque di nessuna fatalità, poiché ciò che è accaduto avreste potuto benissimo evitarlo.

La vostra prova consisteva in una concatenazione di circostanze, che avrebbero potuto darvi, non la necessità, ma la tentazione del suicidio. Disgraziatamente per voi, malgrado il vostro spirito e la vostra istruzione, non avete saputo fronteggiare queste circostanze, e ora soffrite le conseguenze della vostra debolezza. Questa prova, come voi a ragione presentivate, deve tornare a rinnovarsi ancora. Nella vostra prossima esistenza, voi sarete il bersaglio di avvenimenti che di nuovo provocheranno in voi il pensiero del suicidio, e accadrà lo stesso, finché voi non avrete trionfato.

Lungi dall'accusare la sorte, in quanto tutto è opera vostra, ammirate la bontà di Dio, che invece di condannarvi irremissibilmente al primo errore, vi offre incessantemente i mezzi per ripararlo. Voi soffrite dunque, non eternamente però, ma per tanto tempo finché la riparazione non avrà avuto luogo. Dipende da voi, nello stato di Spirito, prendere risoluzioni talmente energiche, esprimere a Dio un pentimento così sincero, sollecitare con sì grande perseveranza l'appoggio dei buoni Spiriti, da arrivare sulla Terra corazzato contro tutte le tentazioni. Una volta raggiunta questa vittoria, voi marcerete sulla via della felicità con maggiore rapidità, visto che sotto altri aspetti, il vostro avanzamento è già considerevole. Occorre dunque affrontare ancora un passo. In ciò noi vi abbiamo aiutato con le nostre preghiere, ma esse sarebbero inutili se voi non ci assecondaste con i vostri sforzi.

«Grazie! Oh, grazie delle vostre buone esortazioni! Ne avevo proprio bisogno, perché io sono molto più infelice di quanto non volessi far credere. Sto per metterle a profitto, ve lo assicuro. Sto anche preparandomi alla mia prossima incarnazione, nella quale questa volta farò in modo di non soccombere. Non vedo l'ora di uscire dall'ignobile ambiente in cui mi trovo relegato.»

Félicien


Antoine Beli


Contabile in una banca del Canada, si suicidò il 28 febbraio 1865. Uno dei nostri corrispondenti, medico e farmacista nella medesima città, ci ha dato sul suo conto le informazioni che qui di seguito riportiamo.

"Conoscevo Bell da più di vent'anni. Era un uomo pacato e a capo di una numerosa famiglia Un po' di tempo fa, egli si era immaginato di aver acquistato da me del veleno e di essersene servito per avvelenare qualcuno. Molto spesso era venuto a supplicarmi di dirgli in quale periodo glielo avessi venduto, e in quelle occasioni si abbandonava a crisi terribili. Perdeva il sonno, si accusava, si batteva il petto. La sua famiglia viveva in un'ansia continua, dalle quattro del pomeriggio fino alle nove del mattino, ora in cui si recava in banca, dove teneva i suoi libri contabili in maniera perfetta, senza mai commettere un solo errore. Aveva l'abitudine di dire che un essere, ch'egli sentiva dentro di sé, gli faceva tenere la sua contabilità con ordine e regolarità. Nel momento in cui sembrava d'essersi convinto dell'assurdità dei suoi pensieri, gridava: 'No! No! Voi volete ingannarmi... io mi ricordo... è la verità!'."

Antoine Bell è stato evocato a Parigi, il 17 aprile 1865, su richiesta del suo amico.

1. Evocazione. «Che cosa pretendete da me? Sottopormi a un interrogatorio? È inutile. Confesserò tutto.»

2. Lungi dalle nostre intenzioni il volervi tormentare con domande indiscrete. Noi desideriamo soltanto sapere qual è la vostra posizione nel mondo dove ora vi trovate, e se possiamo esservi utili.

«Ah! Se lo poteste, io ve ne sarei molto riconoscente. Ho orrore del mio crimine e sono tanto infelice!»

3. Le nostre preghiere — ne abbiamo la speranza — mitigheranno le vostre perle. Voi, del resto, ci sembrate in buone condizioni. Il pentimento fa parte di voi, e questo è già un inizio di riabilitazione. Dio, che è infinitamente misericordioso, ha sempre pietà del peccatore che si pente. Pregate con noi. (A questo punto viene detta la preghiera per i suicidi, che si trova ne Il Vangelo secondo lo Spiritismo.)

Ora, abbiate la bontà di dirci di quale delitto vi riconoscete colpevole. Di questa confessione fatta con umiltà vi sarà tenuto conto.

«Innanzitutto lasciate che vi ringrazi per la speranza che state per far nascere nel mio cuore. Ahimè! Ormai molto tempo fa, vivevo in una città le cui mura erano bagnate dal Mediterraneo. Amavo, riamato, una giovane e bella fanciulla; ma io ero povero e fui respinto dalla sua famiglia. La ragazza mi annunciò che stava per sposare il figlio di un negoziante, i cui commerci si estendevano al di là dei due mari. E io fui messo alla porta. Pazzo di dolore, decisi di togliermi la vita, dopo aver appagato il mio desiderio di vendetta assassinando il mio aborrito rivale. I mezzi violenti, tuttavia, mi ripugnavano. Rabbrividivo all'idea di quel delitto, ma vinse la mia gelosia. La vigilia del giorno in cui la mia amata doveva essere sua, quello morì, avvelenato da me, trovando io questo mezzo meno difficoltoso di altri.

Si spiegano così queste reminiscenze del passato. Sì, ho già vissuto. Ed è necessario ch'io torni a vivere ancora... Oh, mio Dio! Abbiate pietà della mia debolezza e delle mie lacrime!»

4. Noi deploriamo questa sventura che ha ritardato il vostro avanzamento e sinceramente vi compiangiamo; ma poiché siete pentito, Dio avrà pietà di voi. Diteci, vi prego, se metteste in atto il vostro progetto di suicidio.

«No. Confesso, con vergogna, che la speranza mi sbocciò nuovamente nel cuore: volevo godermi il premio del mio delitto. Mi tradirono i miei rimorsi. Espiai quel momento di offuscamento con il supplizio estremo: fui impiccato.»

5. Avevate coscienza di quell'azione criminosa nella vostra ultima esistenza?

«Soltanto negli ultimi anni della mia vita, ed ecco come. Io erro buono per natura. Dopo essere stato sottoposto, come tutti gli Spiriti colpevoli d'omicidio, al tormento della visione continua della mia vittima, che mi perseguitava come un rimorso vivente, ne fui liberato tantissimi anni dopo con le mie preghiere e il mio pentimento. Ricominciai un'altra volta un'esistenza, l'ultima, e la percorsi tranquillo e timoroso. Custodivo in me una vaga intuizione della mia innata debolezza e della mia colpa anteriore, della quale avevo conservato un ricordo latente. Ma uno Spirito ossessore e vendicativo, che altri non è che il padre della mia vittima, non incontrò grandi difficoltà a impossessarsi di me e a far rivivere nel mio cuore, come in uno specchio magico, i ricordi del passato.

Influenzato di volta in volta da lui e dalla guida che mi proteggeva, ora ero l'avvelenatore ora il padre di famiglia che si guadagnava il pane per i figli con il suo lavoro. Fascinato da questo demone ossessore, mi lasciai spingere al suicidio. Sono molto colpevole, è vero, però meno, tuttavia, che se lo avessi deciso io stesso. Le persone suicide della mia categoria, e quelle che sono troppo deboli per resistere agli Spiriti ossessori sono meno colpevoli e meno punibili di coloro che si tolgono la vita per il solo fatto di mettere in atto il loro libero arbitrio. Pregate con me per lo Spirito che mi ha influenzato così fatalmente, affinché egli abdichi ai suoi sentimenti di vendetta. E pregate anche per me, affinché io acquisisca la forza e l'energia necessarie per non fallire, per mia libera volontà, alla prova del suicidio, a cui verrei sottoposto — così mi si dice — nella prossima incarnazione.»

6. (Alla guida del medium) Uno Spirito ossessore può realmente spingere al suicidio?

«Certamente, perché l'ossessione, la quale è essa stessa un genere di prova, può rivestire qualsiasi forma. E questa non è una giustificazione. L'uomo ha sempre il suo libero arbitrio e, di conseguenza, è libero di cedere o di resistere alle suggestioni a cui è esposto; quando soccombe, si tratta sempre di un fatto che riguarda la sua volontà. Lo Spirito del resto, ha ragione quando dice che colui che commette il male su istigazione di un altro è meno riprovevole e meno punibile di colui che lo commetta di sua propria volontà. Ma neppure viene assolto, poiché, fin dal momento in cui si lascia distogliere dalla retta via, significa che il bene non è ancora abbastanza fortemente radicato in lui.»

7. Come avviene che, sebbene la preghiera e il pentimento avessero liberato questo Spirito dal tormento che provava alla sola vista della sua vittima, egli sia stato ancora perseguitato dalla vendetta dello Spirito ossessore nella sua ultima incarnazione?

«Il pentimento — voi ben lo sapete — non è che il preliminare indispensabile per la riabilitazione, ma non è sufficiente per liberare il colpevole da ogni pena. Dio non si accontenta di promesse: bisogna provare, con le proprie azioni, la fondatezza del ritorno al bene. È per questo che lo Spirito viene sottoposto a nuove prove che lo fortificano e che nello stesso tempo gli fanno acquisire un merito in più, quand'egli ne esca vittorioso. Egli è esposto alle persecuzioni degli Spiriti malvagi, finché questi non lo percepiscono come abbastanza forte da resister loro. Solo a questo punto essi lo lasciano in pace, poiché sanno che i loro tentativi sarebbero inutili.»

Questi ultimi due esempi ci mostrano la medesima prova che si rinnova ad ogni incarnazione, e per tanto tempo quello della sua inefficacia. Antoine Bell ci mostra inoltre il fatto, non meno istruttivo, di un uomo perseguitato dal ricordo di un crimine, commesso in un'esistenza anteriore, quale rimorso e avvertimento. Notiamo in tal modo che tutte le esistenze sono correlate le une alle altre; la giustizia , e la bontà di Dio risplendono nella facoltà, che Egli lascia all'uomo, di migliorarsi gradualmente, senza mai chiudere la porta del riscatto dai suoi errori. Il colpevole è punito dalla sua stessa colpa, cosicché la punizione, invece di essere una vendetta di Dio, diviene il mezzo impiegato per farlo progredire.