Origine della dottrina delle pene eterne
1.
La credenza nell'eternità delle pene perde ogni giorno talmente terreno
che, senza essere profeta, ciascuno può prevederne la fine alquanto
vicina. Tale dottrina è stata combattuta con argomenti così possenti e
così perentori, che sembra quasi superfluo d'ora in avanti occuparsene,
essendo sufficiente lasciare che essa si estingua da sé stessa. Tuttavia
non si può nascondere che, per quanto sia caduca, essa è tuttora il
punto di collegamento degli avversari delle idee nuove, punto ch'essi
difendono con il massimo accanimento, perché è uno dei lati più
vulnerabili e perché essi prevedono le conseguenze della sua caduta. Da
questo punto di vista, tale questione merita un serio esame.
2.
La dottrina delle pene eterne, come quella dell'inferno materiale, ha
avuto la sua ragion d'essere, allorché questa paura poteva costituire un
freno per gli uomini intellettualmente e moralmente poco avanzati. Come
poco, o niente affatto, sarebbero stati impressionati dall'idea di pene
morali, non molto di più lo sarebbero stati dall'idea di pene
temporanee. Essi non avrebbero neppure compreso la giustizia delle pene
graduate e proporzionate, perché non erano nelle condizioni di cogliere
le sfumature, spesso delicate, del bene e del male, né il valore
relativo delle circostanze attenuanti o aggravanti.
3.
Quanto più gli uomini sono vicini allo stato primitivo, tanto più sono
materiali; il senso morale è quello che, in loro, si sviluppa più tardi.
Per questo stesso motivo, essi non possono farsi che un'idea molto
imperfetta di Dio e dei Suoi attributi, e un'idea non meno vaga della
vita futura. Assimilano Dio alla loro stessa natura. Dio è per loro un
sovrano assoluto, tanto più temibile in quanto è invisibile, come un
monarca despota che, nascosto nel suo palazzo, non si mostra mai ai suoi
sudditi. Ed Egli non è potente che per la forza materiale, poiché essi
non hanno la concezione della potenza morale; Lo vedono solo armato
della folgore, in mezzo a lampi e tempeste, che semina al Suo passaggio
la rovina e la desolazione, sull'esempio dei guerrieri invincibili. Un
Dio di mansuetudine e di misericordia non sarebbe un Dio, ma un essere
debole che non saprebbe farsi obbedire. La vendetta implacabile, i
castighi terribili ed eterni, nulla avevano di contrario all'idea che si
facevano di Dio, nulla che ripugnasse alla loro ragione. Implacabili
essi stessi nei loro risentimenti, crudeli verso i loro nemici, senza
pietà per i vinti, Dio, che era loro superiore, doveva per forza essere
ancora più terribile.
Per uomini tali, v'era bisogno di
credenze religiose adeguate alla loro natura ancora rozza. Una religione
tutta spirituale, fatta tutta di amore e di carità, non poteva essere
associata alla brutalità dei costumi e delle passioni. Non biasimiamo,
perciò, Mosè per la sua legislazione draconiana, che era appena
sufficiente a contenere il suo popolo indocile, né d'aver fatto di Dio
un Dio vendicatore. Di questo c'era bisogno a quell'epoca; la dolce
dottrina di Gesù non vi avrebbe trovato eco e sarebbe stata impotente.
4. Man
mano che lo Spirito si è sviluppato, il velo materiale si è poco a poco
dissipato, e gli uomini sono stati più adatti a comprendere le cose
spirituali; ma ciò non è avvenuto che gradualmente. Quando Gesù è giunto
sulla Terra, egli ha potuto annunciare un Dio clemente, ha potuto
parlare del Suo regno, che non è di questo mondo, e dire agli uomini:
"Amatevi gli uni con gli altri, fate del bene a coloro che vi odiano".
Gli antichi, invece, dicevano: "Occhio per occhio, dente per dente".
Orbene, chi erano gli uomini che vivevano al tempo di Gesù? Erano
anime da poco create e incarnate? Se così fosse, Dio avrebbe dunque
creato al tempo di Gesù delle anime più avanzate che al tempo di Mosè.
Ma, allora, che sarebbe avvenuto di queste ultime? Avrebbero esse
languito per l'eternità nell'abbrutimento? Il semplice buon senso
respinge questa supposizione. No: c'erano le medesime anime, le quali,
dopo aver vissuto sotto il dominio della legge mosaica, avevano,
attraverso numerose esistenze, acquisito uno sviluppo sufficiente per
comprendere una dottrina più elevata. Al giorno d'oggi queste anime sono
abbastanza avanzate da ricevere un insegnamento ancora più completo.
5. Tuttavia,
il Cristo non ha potuto rivelare ai suoi contemporanei tutti i misteri
del futuro. Gesù stesso ha detto: "Io avrei ancora molte cose da dirvi,
ma voi non le comprendereste; ed è per questo che io vi parlo in
parabole". Su tutto ciò che riguarda la morale, vale a dire i doveri
dell'uomo verso l'uomo, egli è stato molto esplicito, perché toccando la
sensibile corda della vita materiale, sapeva di essere compreso; sugli
altri punti, egli si limita a seminare, sotto forma allegorica, i germi
di ciò che dovrà essere sviluppato più tardi.
La dottrina
delle pene e delle ricompense future appartiene a quest'ultimo ordine di
idee. Soprattutto riguardo alle pene, egli non poteva rompere tutt'a un
tratto con le idee precostituite. Egli veniva per indicare agli uomini
nuovi doveri: la carità e l'amore verso il prossimo sostituivano lo
spirito di odio e di vendetta; l'abnegazione si sostituiva all'egoismo.
Ed era già molto. Non poteva razionalmente indebolire il timore del
castigo riservato ai prevaricatori, senza indebolire nello stesso tempo
l'idea di dovere. Prometteva il regno dei cieli ai buoni; questo regno,
dunque, era interdetto ai malvagi; e questi dove sarebbero andati?
Inoltre, sarebbe stata necessaria una inversione della Natura, per
impressionare delle intelligenze ancora troppo materiali per
identificarsi con la vita spirituale. Infatti, non si deve perdere di
vista che Gesù si rivolgeva al popolo, alla parte meno illuminata della
società, per la quale c'era bisogno di immagini in qualche modo
palpabili, e non di idee sottili. È per questo ch'egli, a tale riguardo,
non entrava in dettagli superflui: gli bastava contrapporre una
punizione alla ricompensa. Non c'era bisogno d'altro a quell'epoca.
6. Se Gesù ha minacciato i colpevoli con il fuoco eterno, li ha anche minacciati che sarebbero stati gettati nella Geenna; ora, che cos'era la Geenna? Un
luogo nei dintorni di Gerusalemme, una discarica dove si gettavano le
immondizie della città. Si dovrebbe, dunque interpretare anche questo
alla lettera? Era una di quelle immagini forti col cui aiuto
impressionava le masse. La stessa cosa dicasi per il fuoco eterno. Se
tale non fosse stata la sua intenzione, egli sarebbe in contraddizione
con sé stesso quando esaltava la clemenza e la misericordia di Dio,
poiché la clemenza e l'inesorabilità sono dei contrari che si annullano.
Vorrebbe dunque dire ingannarsi bizzarramente sul significato delle
parole di Gesù, il fatto di vedervi la convalida del dogma delle pene
eterne, dal momento che ogni suo insegnamento proclama la clemenza del
Creatore.
Nel Padre nostro, Gesù
ci insegna a dire: "Signore, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li
rimettiamo ai nostri debitori". Se il colpevole non avesse alcun
perdono in cui sperare, sarebbe inutile domandarlo. Ma questo perdono è
senza condizioni? È una grazia, una remissione pura e semplice della
pena in cui si è incorsi? No. La misura di questo perdono è subordinata
alla maniera con cui noi stessi avremo perdonato; vale a dire che se noi
non perdoniamo, noi non saremo perdonati. Dio, facendo dell'oblio delle
offese una condizione assoluta, non poteva esigere che il debole uomo
facesse ciò ch'Egli, l'Onnipotente, non avrebbe mai fatto. Il Padre nostro è una sconfessione quotidiana contro l'eterna vendetta di Dio.
7. Per
degli uomini che non avevano che una confusa nozione della spiritualità
dell'anima, l'idea del fuoco materiale non aveva niente di
traumatizzante, anche perché essa sussisteva nella credenza popolare,
attinta in quella dell'inferno dei pagani, quasi universalmente diffusa.
L'eternità della pena non aveva nulla che ripugnasse a della gente
sottomessa da secoli alla legislazione del terribile Geova. Nel pensiero
di Gesù, il fuoco eterno non poteva dunque essere che una immagine;
poco gli importava che questa immagine fosse presa alla lettera, dal
momento che essa doveva servire da freno. Egli sapeva bene che il tempo e
il progresso avrebbero dovuto assumersi l'incarico di farne comprendere
il senso allegorico, soprattutto allorché, secondo la sua predizione,
lo Spirito di Verità sarebbe venuto a illuminare gli uomini su tutte le cose.
Il carattere essenziale delle pene irrevocabili sta nell'inefficacia del pentimento. Ora,
mai Gesù ha detto che il pentimento non avrebbe trovato grazia davanti a
Dio. Al contrario, in ogni occasione, egli ci mostra un Dio clemente,
misericordioso, pronto a ricevere il figliol prodigo rientrato sotto il
tetto paterno. Egli ci mostra un Dio inflessibile solo verso il
peccatore irriducibile; ma se Egli tiene il castigo in una mano,
nell'altra tiene sempre il perdono ed è pronto a riversarlo sul
colpevole non appena questi ritorna sinceramente a lui. Questa non è di
certo la rappresentazione di un Dio senza pietà. C'è anche da notare che
Gesù non ha mai pronunciato contro nessuno, neppure contro i più grandi
colpevoli, delle condanne irrevocabili.
8.
Tutte le religioni primitive, in accordo con il carattere dei popoli,
hanno avuto degli dei guerrieri che combattevano alla testa degli
eserciti. Il Geova degli Ebrei forniva loro mille mezzi per sterminare i
nemici; egli li ricompensava per la vittoria, li puniva per la
sconfitta. A seconda dell'idea che ci si faceva di Dio, si riteneva di
onorarlo o di appagarlo con il sangue degli animali o degli uomini: da
qui i sacrifici sanguinosi che hanno rappresentato un così grande ruolo
in tutte le religioni antiche. I Giudei avevano abolito i sacrifici
umani; i Cristiani, nonostante gli insegnamenti del Cristo, hanno per
lungo tempo creduto di onorare il Creatore gettando, a migliaia, alle
fiamme e alle torture quelli ch'essi chiamavano eretici. Erano, sotto
un'altra forma, veri e propri sacrifici umani, poiché venivano fatti per
la maggior gloria di Dio e con un accompagnamento di cerimonie religiose. Ancor oggi, i Cristiani invocano il Dio degli eserciti prima del combattimento e lo glorificano dopo la vittoria, e ciò avviene spesso per le cause più ingiuste e più anticristiane.
9. Quanto
lento è l'uomo a disfarsi dei suoi pregiudizi, delle sue abitudini,
delle sue idee primitive! Quaranta secoli ci separano da Mosè, e la
nostra generazione cristiana vede ancora tracce delle antiche usanze
barbare consacrate, o almeno approvate, dalla religione attuale! C'è
stato bisogno della potenza dell'opinione dei non ortodossi, di
coloro che sono ritenuti eretici, per mettere fine ai roghi e far
comprendere la vera grandezza di Dio. Ma, in assenza dei roghi, le
persecuzioni materiali e morali sono ancora in pieno vigore, tanto
l'idea di un Dio crudele è radicata nell'uomo. Cresciuto nei sentimenti
che gli vengono inculcati fin dall'infanzia, può forse l'uomo
meravigliarsi se il Dio, che gli presentano come onorato da atti
barbari, condanna a torture eterne e osserva senza pietà alcuna le
sofferenze dei dannati?
Sì. Ci sono dei filosofi — empi
secondo alcuni — i quali si sono scandalizzati nel vedere il nome di
Dio, profanato da atti indegni di Lui. Sono coloro che l'hanno mostrato
agli uomini in tutta la Sua grandezza, dispogliandoLo delle passioni e
delle grettezze umane attribuiteGli da una fede non illuminata. La
religione ha guadagnato in dignità ciò che essa ha perduto in prestigio
esteriore. Infatti, se ci sono meno uomini attaccati alla forma, ce ne
sono molti di più che sono sinceramente religiosi con il cuore e con i
sentimenti.
Ma, a fianco di questi, quanti sono quelli che,
arrestandosi alla superficie, sono stati indotti alla negazione di ogni
provvidenza! Non avendo saputo mettere, al momento opportuno, in
armonia le credenze religiose con il progresso della ragione umana, si è
fatto nascere negli uni il deismo, negli altri la miscredenza assoluta,
in altri ancora il panteismo, vale a dire che l'uomo si è fatto dio lui
stesso, non vedendone alcuno abbastanza perfetto.