IL CIELO E L'INFERNO OVVERO LA GIUSTIZIA SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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Origine della dottrina delle pene eterne

1. La credenza nell'eternità delle pene perde ogni giorno talmente terreno che, senza essere profeta, ciascuno può prevederne la fine alquanto vicina. Tale dottrina è stata combattuta con argomenti così possenti e così perentori, che sembra quasi superfluo d'ora in avanti occuparsene, essendo sufficiente lasciare che essa si estingua da sé stessa. Tuttavia non si può nascondere che, per quanto sia caduca, essa è tuttora il punto di collegamento degli avversari delle idee nuove, punto ch'essi difendono con il massimo accanimento, perché è uno dei lati più vulnerabili e perché essi prevedono le conseguenze della sua caduta. Da questo punto di vista, tale questione merita un serio esame.

2. La dottrina delle pene eterne, come quella dell'inferno materiale, ha avuto la sua ragion d'essere, allorché questa paura poteva costituire un freno per gli uomini intellettualmente e moralmente poco avanzati. Come poco, o niente affatto, sarebbero stati impressionati dall'idea di pene morali, non molto di più lo sarebbero stati dall'idea di pene temporanee. Essi non avrebbero neppure compreso la giustizia delle pene graduate e proporzionate, perché non erano nelle condizioni di cogliere le sfumature, spesso delicate, del bene e del male, né il valore relativo delle circostanze attenuanti o aggravanti.

3. Quanto più gli uomini sono vicini allo stato primitivo, tanto più sono materiali; il senso morale è quello che, in loro, si sviluppa più tardi. Per questo stesso motivo, essi non possono farsi che un'idea molto imperfetta di Dio e dei Suoi attributi, e un'idea non meno vaga della vita futura. Assimilano Dio alla loro stessa natura. Dio è per loro un sovrano assoluto, tanto più temibile in quanto è invisibile, come un monarca despota che, nascosto nel suo palazzo, non si mostra mai ai suoi sudditi. Ed Egli non è potente che per la forza materiale, poiché essi non hanno la concezione della potenza morale; Lo vedono solo armato della folgore, in mezzo a lampi e tempeste, che semina al Suo passaggio la rovina e la desolazione, sull'esempio dei guerrieri invincibili. Un Dio di mansuetudine e di misericordia non sarebbe un Dio, ma un essere debole che non saprebbe farsi obbedire. La vendetta implacabile, i castighi terribili ed eterni, nulla avevano di contrario all'idea che si facevano di Dio, nulla che ripugnasse alla loro ragione. Implacabili essi stessi nei loro risentimenti, crudeli verso i loro nemici, senza pietà per i vinti, Dio, che era loro superiore, doveva per forza essere ancora più terribile.

Per uomini tali, v'era bisogno di credenze religiose adeguate alla loro natura ancora rozza. Una religione tutta spirituale, fatta tutta di amore e di carità, non poteva essere associata alla brutalità dei costumi e delle passioni. Non biasimiamo, perciò, Mosè per la sua legislazione draconiana, che era appena sufficiente a contenere il suo popolo indocile, né d'aver fatto di Dio un Dio vendicatore. Di questo c'era bisogno a quell'epoca; la dolce dottrina di Gesù non vi avrebbe trovato eco e sarebbe stata impotente.

4. Man mano che lo Spirito si è sviluppato, il velo materiale si è poco a poco dissipato, e gli uomini sono stati più adatti a comprendere le cose spirituali; ma ciò non è avvenuto che gradualmente. Quando Gesù è giunto sulla Terra, egli ha potuto annunciare un Dio clemente, ha potuto parlare del Suo regno, che non è di questo mondo, e dire agli uomini: "Amatevi gli uni con gli altri, fate del bene a coloro che vi odiano". Gli antichi, invece, dicevano: "Occhio per occhio, dente per dente".

Orbene, chi erano gli uomini che vivevano al tempo di Gesù? Erano anime da poco create e incarnate? Se così fosse, Dio avrebbe dunque creato al tempo di Gesù delle anime più avanzate che al tempo di Mosè. Ma, allora, che sarebbe avvenuto di queste ultime? Avrebbero esse languito per l'eternità nell'abbrutimento? Il semplice buon senso respinge questa supposizione. No: c'erano le medesime anime, le quali, dopo aver vissuto sotto il dominio della legge mosaica, avevano, attraverso numerose esistenze, acquisito uno sviluppo sufficiente per comprendere una dottrina più elevata. Al giorno d'oggi queste anime sono abbastanza avanzate da ricevere un insegnamento ancora più completo.

5. Tuttavia, il Cristo non ha potuto rivelare ai suoi contemporanei tutti i misteri del futuro. Gesù stesso ha detto: "Io avrei ancora molte cose da dirvi, ma voi non le comprendereste; ed è per questo che io vi parlo in parabole". Su tutto ciò che riguarda la morale, vale a dire i doveri dell'uomo verso l'uomo, egli è stato molto esplicito, perché toccando la sensibile corda della vita materiale, sapeva di essere compreso; sugli altri punti, egli si limita a seminare, sotto forma allegorica, i germi di ciò che dovrà essere sviluppato più tardi.

La dottrina delle pene e delle ricompense future appartiene a quest'ultimo ordine di idee. Soprattutto riguardo alle pene, egli non poteva rompere tutt'a un tratto con le idee precostituite. Egli veniva per indicare agli uomini nuovi doveri: la carità e l'amore verso il prossimo sostituivano lo spirito di odio e di vendetta; l'abnegazione si sostituiva all'egoismo. Ed era già molto. Non poteva razionalmente indebolire il timore del castigo riservato ai prevaricatori, senza indebolire nello stesso tempo l'idea di dovere. Prometteva il regno dei cieli ai buoni; questo regno, dunque, era interdetto ai malvagi; e questi dove sarebbero andati? Inoltre, sarebbe stata necessaria una inversione della Natura, per impressionare delle intelligenze ancora troppo materiali per identificarsi con la vita spirituale. Infatti, non si deve perdere di vista che Gesù si rivolgeva al popolo, alla parte meno illuminata della società, per la quale c'era bisogno di immagini in qualche modo palpabili, e non di idee sottili. È per questo ch'egli, a tale riguardo, non entrava in dettagli superflui: gli bastava contrapporre una punizione alla ricompensa. Non c'era bisogno d'altro a quell'epoca.

6. Se Gesù ha minacciato i colpevoli con il fuoco eterno, li ha anche minacciati che sarebbero stati gettati nella Geenna; ora, che cos'era la Geenna? Un luogo nei dintorni di Gerusalemme, una discarica dove si gettavano le immondizie della città. Si dovrebbe, dunque interpretare anche questo alla lettera? Era una di quelle immagini forti col cui aiuto impressionava le masse. La stessa cosa dicasi per il fuoco eterno. Se tale non fosse stata la sua intenzione, egli sarebbe in contraddizione con sé stesso quando esaltava la clemenza e la misericordia di Dio, poiché la clemenza e l'inesorabilità sono dei contrari che si annullano. Vorrebbe dunque dire ingannarsi bizzarramente sul significato delle parole di Gesù, il fatto di vedervi la convalida del dogma delle pene eterne, dal momento che ogni suo insegnamento proclama la clemenza del Creatore.

Nel Padre nostro, Gesù ci insegna a dire: "Signore, rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori". Se il colpevole non avesse alcun perdono in cui sperare, sarebbe inutile domandarlo. Ma questo perdono è senza condizioni? È una grazia, una remissione pura e semplice della pena in cui si è incorsi? No. La misura di questo perdono è subordinata alla maniera con cui noi stessi avremo perdonato; vale a dire che se noi non perdoniamo, noi non saremo perdonati. Dio, facendo dell'oblio delle offese una condizione assoluta, non poteva esigere che il debole uomo facesse ciò ch'Egli, l'Onnipotente, non avrebbe mai fatto. Il Padre nostro è una sconfessione quotidiana contro l'eterna vendetta di Dio.

7. Per degli uomini che non avevano che una confusa nozione della spiritualità dell'anima, l'idea del fuoco materiale non aveva niente di traumatizzante, anche perché essa sussisteva nella credenza popolare, attinta in quella dell'inferno dei pagani, quasi universalmente diffusa. L'eternità della pena non aveva nulla che ripugnasse a della gente sottomessa da secoli alla legislazione del terribile Geova. Nel pensiero di Gesù, il fuoco eterno non poteva dunque essere che una immagine; poco gli importava che questa immagine fosse presa alla lettera, dal momento che essa doveva servire da freno. Egli sapeva bene che il tempo e il progresso avrebbero dovuto assumersi l'incarico di farne comprendere il senso allegorico, soprattutto allorché, secondo la sua predizione, lo Spirito di Verità sarebbe venuto a illuminare gli uomini su tutte le cose.

Il carattere essenziale delle pene irrevocabili sta nell'inefficacia del pentimento. Ora, mai Gesù ha detto che il pentimento non avrebbe trovato grazia davanti a Dio. Al contrario, in ogni occasione, egli ci mostra un Dio clemente, misericordioso, pronto a ricevere il figliol prodigo rientrato sotto il tetto paterno. Egli ci mostra un Dio inflessibile solo verso il peccatore irriducibile; ma se Egli tiene il castigo in una mano, nell'altra tiene sempre il perdono ed è pronto a riversarlo sul colpevole non appena questi ritorna sinceramente a lui. Questa non è di certo la rappresentazione di un Dio senza pietà. C'è anche da notare che Gesù non ha mai pronunciato contro nessuno, neppure contro i più grandi colpevoli, delle condanne irrevocabili.

8. Tutte le religioni primitive, in accordo con il carattere dei popoli, hanno avuto degli dei guerrieri che combattevano alla testa degli eserciti. Il Geova degli Ebrei forniva loro mille mezzi per sterminare i nemici; egli li ricompensava per la vittoria, li puniva per la sconfitta. A seconda dell'idea che ci si faceva di Dio, si riteneva di onorarlo o di appagarlo con il sangue degli animali o degli uomini: da qui i sacrifici sanguinosi che hanno rappresentato un così grande ruolo in tutte le religioni antiche. I Giudei avevano abolito i sacrifici umani; i Cristiani, nonostante gli insegnamenti del Cristo, hanno per lungo tempo creduto di onorare il Creatore gettando, a migliaia, alle fiamme e alle torture quelli ch'essi chiamavano eretici. Erano, sotto un'altra forma, veri e propri sacrifici umani, poiché venivano fatti per la maggior gloria di Dio e con un accompagnamento di cerimonie religiose. Ancor oggi, i Cristiani invocano il Dio degli eserciti prima del combattimento e lo glorificano dopo la vittoria, e ciò avviene spesso per le cause più ingiuste e più anticristiane.

9. Quanto lento è l'uomo a disfarsi dei suoi pregiudizi, delle sue abitudini, delle sue idee primitive! Quaranta secoli ci separano da Mosè, e la nostra generazione cristiana vede ancora tracce delle antiche usanze barbare consacrate, o almeno approvate, dalla religione attuale! C'è stato bisogno della potenza dell'opinione dei non ortodossi, di coloro che sono ritenuti eretici, per mettere fine ai roghi e far comprendere la vera grandezza di Dio. Ma, in assenza dei roghi, le persecuzioni materiali e morali sono ancora in pieno vigore, tanto l'idea di un Dio crudele è radicata nell'uomo. Cresciuto nei sentimenti che gli vengono inculcati fin dall'infanzia, può forse l'uomo meravigliarsi se il Dio, che gli presentano come onorato da atti barbari, condanna a torture eterne e osserva senza pietà alcuna le sofferenze dei dannati?

Sì. Ci sono dei filosofi — empi secondo alcuni — i quali si sono scandalizzati nel vedere il nome di Dio, profanato da atti indegni di Lui. Sono coloro che l'hanno mostrato agli uomini in tutta la Sua grandezza, dispogliandoLo delle passioni e delle grettezze umane attribuiteGli da una fede non illuminata. La religione ha guadagnato in dignità ciò che essa ha perduto in prestigio esteriore. Infatti, se ci sono meno uomini attaccati alla forma, ce ne sono molti di più che sono sinceramente religiosi con il cuore e con i sentimenti.

Ma, a fianco di questi, quanti sono quelli che, arrestandosi alla superficie, sono stati indotti alla negazione di ogni provvidenza! Non avendo saputo mettere, al momento opportuno, in armonia le credenze religiose con il progresso della ragione umana, si è fatto nascere negli uni il deismo, negli altri la miscredenza assoluta, in altri ancora il panteismo, vale a dire che l'uomo si è fatto dio lui stesso, non vedendone alcuno abbastanza perfetto.