6. Un'altra ragione, che
lega alle cose terrene quegli stessi che moltofermamente credono alla
vita futura, attiene all'impressione che essi conservano
dall'insegnamento che, al riguardo, è stato loro impartito fin
dall'infanzia.
Il quadro che della vita futura fa la
religione — bisogna convenirne — non è né particolarmente seducente né
particolarmente consolante. Da un lato, vi si vedono le contorsioni dei
dannati che espiano in torture e fiamme senza fine i loro errori di un
istante. Per costoro i secoli si succedono ai secoli, senza la speranza
né di un'attenuazione delle pene né di alcuna pietà; e, cosa che è
ancora più atroce, per costoro il patimento è senza efficacia.
Dall'altro lato, le anime languenti e sofferenti del purgatorio
attendono la loro liberazione attraverso il buon cuore dei vivi, che
pregheranno o faranno pregare per loro, e non attraverso i loro stessi
sforzi, per il proprio progresso. Queste due categorie compongono
l'immensa maggioranza della popolazione dell'altro mondo. Al disopra si
libra quella moltitudine molto limitata degli eletti, che godono per
l'eternità d'una beatitudine contemplativa. Questa eterna inutilità,
preferibile senza dubbio al nulla, non è da meno di una fastidiosa
monotonia. Così, nei dipinti che ritraggono i beati, si vedono delle
figure angeliche che respirano, però, la noia piuttosto che la vera
felicità.
Questo stato non soddisfa né le aspirazioni né
l'idea istintiva del progresso, che appare il solo compatibile con la
felicità assoluta. Si fa fatica a credere che il selvaggio ignorante,
refrattario al senso morale, si trovi, per il solo fatto d'aver ricevuto
il battesimo, allo stesso livello di colui che è pervenuto al più alto
grado della scienza e della morale pratica, dopo lunghi anni di lavoro.
Ed è ancor meno concepibile che il bambino morto in tenera età, prima
cioè di avere coscienza di sé stesso e dei suoi atti, goda dei medesimi
privilegi, per il solo fatto di una cerimonia alla quale la sua volontà
non ha alcuna parte. Questi ragionamenti non cessano di agitare i più
ferventi, per poco che essi possano rifletterci.