3. Supponiamo che, per una
qualsiasi circostanza, un intero popolo acquisisca la certezza che in
otto giorni, in un mese, o se vogliamo in un anno, esso sarà annientato,
che non un solo individuo sopravviverà, che di esso non resterà più
alcuna traccia dopo la morte. Che farà questo popolo durante questo
tempo di attesa?
Si impegnerà per il suo miglioramento, per
la sua istruzione? Si affaticherà per vivere? Rispetterà i diritti, i
beni, la vita dei suoi simili? Si sottometterà alle leggi, a
un'autorità, qual si voglia, anche la più legittima, cioè all'autorità
paterna? Ci sarà per lui un qualsiasi dovere? Certamente no.
Ebbene, ciò che non accade in massa, viene realizzato dalla dottrina del nichilismo,
ogni giorno, isolatamente, individualmente. E se le conseguenze non
sono poi così disastrose come potrebbero esserlo, è in primo luogo
perché, nella maggior parte dei non credenti, c'è più millanteria che
vera e propria miscredenza, più dubbio che convinzione; e perché essi
hanno paura del niente più di quanto non vogliano far sembrare:
l'appellativo di spirito forte lusinga il loro amor proprio; in secondo
luogo, perché i non credenti assoluti sono in grandissima minoranza;
essi subiscono, loro malgrado, l'influenza dell'opinione contraria e
sono sostenuti da una forza materiale. Ma qualora la miscredenza
assoluta diventasse un giorno l'opinione della maggioranza, la società
entrerebbe in dissoluzione. È a questo che tende la diffusione della
dottrina del nichilismo. [1]
Quali che siano le conseguenze,
qualora il nichilismo s'imponesse come una verità, bisognerebbe
accettarlo. E né i sistemi contrari né il pensiero del male che ne
conseguirebbe potrebbero ostacolarne l'esistenza. Ora, non bisogna
nasconderci che lo scetticismo, il dubbio e l'indifferenza guadagnano
terreno ogni giorno, nonostante gli sforzi della religione; ma questo è
positivo. Se la religione si dimostra impotente nei confronti della
miscredenza, è perché le manca qualcosa per combatterla, dimodoché se
essa si condannasse all'immobilità, in un determinato momento si
troverebbe infallibilmente sopraffatta. Ciò che le manca in questo
secolo di positivismo, in cui si cerca di comprendere prima di credere, è
senza dubbio la convalida delle sue dottrine attraverso fatti positivi;
e così pure la concordanza di certe dottrine con i dati positivi della
Scienza. Se essa dice bianco e se i fatti dicono nero, bisogna optare
tra l'evidenza e la fede cieca.
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[1] Un giovane di diciotto anni era affetto da una malattia cardiaca
dichiarata incurabile. La Scienza aveva così sentenziato: "Egli potrebbe
morire entro otto giorni, come entro due anni, ma non andrà oltre". Il
giovane venne a conoscenza di ciò. Subito abbandona gli studi e si dà a
eccessi d'ogni genere. Allorché gli si fa presente come una vita di
disordini sia pericolosa nelle sue condizioni, egli risponde: "Che
m'importa, dal momento che non ho che due anni da vivere? A che mi
servirebbe affaticare l'animo con le rinunce? Godo del poco tempo che mi
resta e cerco di divertirmi fino all'ultimo". Ecco la conseguenza del
nichilismo.
Se questo giovane fosse stato spiritista, avrebbe
detto: "La morte distruggerà solo il mio corpo, che io lascerò come un
abito usato, ma il mio Spirito vivrà sempre. Io sarò, nella mia vita
futura, ciò che avrei fatto di me stesso in questa vita. Niente di
quello che in essa potrei acquisire riguardo a qualità morali e
intellettuali andrà perduto, perché ciò sarà tanto di guadagnato per il
mio avanzamento; ogni imperfezione di cui mi libererò sarà un passo in
più verso la felicità. La mia felicità o infelici a venire dipendono
dall'utilità o dall'inutilità della mia presente esistenza. È dunque mio
interesse mettere a profitto il poco tempo che mi resta ed evitare
tutto ciò che potrebbe diminuire le mie forze".
Quale di queste due dottrine è preferibile?
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