IL VANGELO SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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Istruzioni Degli Spiriti

L'affabilità e la dolcezza


6. La benevolenza verso i simili, frutto dell'amore per il prossimo, induce all'affabilità e alla dolcezza che ne sono la manifestazione. Tuttavia non ci si deve sempre fidare delle apparenze. L'educazione e le consuetudini mondane possono far vedere solo la vernice di queste qualità. Quanti ce ne sono la cui finta bonomia non è che una maschera, un abito il cui taglio ben calcolato dissimula le deformità nascoste! Il mondo è popolato da gente del genere, che ha il sorriso sulle labbra e il veleno nel cuore; dolci finché niente li urta, ma che mordono alla minima contrarietà; la cui lingua, dorata quando parlano in faccia, cambia in dardo avvelenato quando parlano alle spalle.

A questa categoria appartengono anche uomini dal fare benevolo che, tiranni domestici in privato, fanno soffrire la loro famiglia e fanno pesare sui subalterni il loro orgoglio e il loro dispotismo. Sembra che vogliano rivalersi dei freni che sono stati loro imposti altrove e che, non osando comportarsi con autorità con gli estranei, che li metterebbero subito a posto, vogliano almeno sentirsi temuti da quelli che non possono rivoltarglisi. La loro vanità gioisce nel poter dire: «Qui comando io e sono obbedito», senza pensare che potrebbero aggiungere, a maggior ragione: «E sono detestato».

Non basta che del latte e del miele scorrano dalle labbra se il cuore non è per niente puro. È solo ipocrisia. Colui la cui affabilità e dolcezza non sono finte, non si smentisce mai. È la stessa persona in pubblico e in privato. D'altra parte si sa bene che, se si ingannano gli uomini con le apparenze, non si inganna Dio.

(Lazare, Parigi, 1861)


La pazienza


7. Il dolore è una benedizione che Dio manda solo agli eletti. Non affliggetevi dunque quando soffrite, ma al contrario benedite Dio onnipotente che vi ha segnato con il dolore su questo mondo per la gloria nel Cielo.

Siate pazienti, anche la pazienza è una carità, e voi dovete praticare la legge della carità insegnata da Cristo, inviato di Dio. La carità, quella che consiste nell'elemosina data ai poveri, è la più facile delle carità. Ma ce n'è una ben più difficile e conseguentemente ben più meritoria, ed è quella di perdonare coloro che Dio ha messo sul nostro cammino per essere gli strumenti delle nostre sofferenze e per mettere la nostra pazienza alla prova.

La vita è difficile, lo so, è fatta di mille piccole cose che sono punture di spillo che finiscono col ferire. Ma si devono osservare i doveri che ci vengono imposti, e bisogna tener conto delle consolazioni e del compenso che avremo come contropartita. Allora noi vedremo che le benedizioni sono più numerose dei dolori. Quando si guarda in alto, il fardello sembra meno pesante di quanto non lo sia quando si china la fronte verso terra.

Coraggio, amici, Cristo è il vostro modello. Ha sofferto più di uno qualsiasi di voi e non aveva niente da rimproverarsi, mentre voi, voi dovete espiare il vostro passato e fortificarvi per l'avvenire. Siate dunque pazienti, siate cristiani, questa parola comprende tutto.

(Uno Spirito Amico, Le Havre, 1862)


L'obbedienza e la rassegnazione


8. La dottrina di Gesù insegna ovunque l'obbedienza e la rassegnazione, due virtù sorelle della dolcezza, molto attive quantunque gli uomini le confondano, a torto, con la negazione del sentimento e della volontà. L'obbedienza è il consenso della ragione, la rassegnazione è il consenso del cuore. Tutt'e due sono delle forze attive in quanto portano il fardello delle prove di cui la ribellione insensata si libera. Il pusillanime non può essere rassegnato, tanto meno l'orgoglioso e l'egoista possono essere obbedienti. Gesù è stato l'incarnazione di queste virtù disprezzate dall'antico materialismo. Egli venne nel momento in cui la società romana stava rovinando nella fragilità della sua corruzione. Venne a far brillare, in seno all'umanità frustrata, i trionfi del sacrificio e della rinuncia alle cose materiali.

Ogni epoca viene così segnata dalla virtù che deve salvarla o dal vizio che può perderla. La virtù della vostra generazione è l'attività intellettuale, il suo vizio è l'indifferenza morale. Io dico solamente attività, in quanto il genio si eleva improvvisamente e scopre da sé gli orizzonti che i più vedranno solo dopo, mentre l'attività è l'unione degli sforzi di tutti per raggiungere uno scopo meno vistoso, ma che dimostra l'alto livello intellettuale di un'epoca. Assecondate l'impulso che noi stiamo dando ai vostri Spiriti, obbedite alla grande legge del progresso che è la parola d'ordine della vostra generazione. Infelice lo Spirito pigro, che blocca il suo intelletto! Infelice! Perché noi, che siamo le guide dell'umanità in marcia, noi lo fustigheremo e faremo leva sulla sua volontà ribelle, nel doppio sforzo del freno e dello sprone. Qualsiasi resistenza orgogliosa dovrà cedere prima o poi. Ma beati quelli che sono mansueti, poiché presteranno ascolto con dolcezza agli insegnamenti.

(Lazare, Parigi, 1863)


La collera


9. L'orgoglio vi porta a credere di essere più di quanto non siate, a non tollerare un confronto che possa sminuirvi, a vedervi talmente al di sopra dei vostri fratelli, sia come spirito sia come posizione sociale, sia anche riguardo a privilegi personali, che il minimo accostamento con altri vi irrita e vi urta. E che succede allora? Succede che vi lasciate prendere dalla collera.

Cercate l'origine di questi accessi di demenza passeggera, che vi assimilano al bruto facendovi perdere il controllo. Cercate, e troverete quasi sempre che alla base c'è l'orgoglio umiliato. Non è forse l'orgoglio colpito da una contraddizione che vi fa rifiutare le osservazioni giuste, che vi fa respingere con collera i più saggi consigli? L'impazienza stessa, causata da contrarietà sovente puerili, trae origine dall'importanza data alla propria persona, di fronte alla quale si crede che ognuno debba inchinarsi.

Nella sua frenesia, l'uomo collerico accusa tutto e tutti, dalla natura da lui ritenuta malvagia fino agli oggetti che manda in frantumi perché non gli obbediscono. Ah! Se in quei momenti potesse vedersi a sangue freddo, avrebbe paura di se stesso o si troverebbe ridicolo! Da ciò si può immaginare l'impressione che deve fare sugli altri. Solo per rispetto verso se stesso, dovrebbe sforzarsi di vincere una tendenza che lo fa oggetto di pietà.

Se pensasse che la collera non porta nessun rimedio, che altera la sua salute, che compromette persino la sua vita, si renderebbe conto che la prima vittima è proprio lui. Ma, soprattutto, un'altra considerazione dovrebbe indurlo a moderarsi: il pensiero che egli rende infelici tutti quelli che gli stanno attorno. Se ha del cuore, non prova rimorso nel far soffrire quelli che di più ama? E quale rimpianto mortale se, in un accesso di collera, commettesse un'azione che dovesse rimproverarsi per tutta la vita!

Insomma, la collera non esclude certe qualità di cuore, ma impedisce di compiere il bene, può far commettere molto male, e questo dovrebbe bastare per impegnarsi a dominarla. Lo Spiritista è inoltre sollecitato a dominarsi da un altro motivo: la collera è contraria alla carità e all'umiltà cristiana.

(Uno Spirito Protettore, Bordeaux, 1863)

10. Secondo l'errata opinione che non si può cambiare la propria natura, l'uomo si ritiene dispensato dallo sforzarsi di correggere i suoi difetti, di cui volentieri si compiace e che comporterebbero troppa perseveranza. È così, per esempio, che l'uomo incline alla collera trova quasi sempre delle attenuanti al suo temperamento. Piuttosto che ammettere di essere colpevole, fa ricadere la colpa sulla sua natura, accusando così indirettamente Dio delle sue malefatte. È, ancora una volta, una conseguenza dell'orgoglio, che si trova mischiato con tutte le sue imperfezioni.

È fuor di dubbio che ci sono temperamenti che si abbandonano più di altri ad atti violenti, come ci sono muscoli più duttili che meglio si prestano ai tours de force. Ma non crediate che consista in ciò la causa principale della collera e convincetevi che uno Spirito mite, anche se si trovasse in un corpo bilioso, sarà sempre mite, e che uno Spirito violento, in un corpo debole, non per questo sarà più dolce. Ma la violenza si manifesterà diversamente: non avendo un organismo adatto ad assecondare i suoi impulsi, la collera rimarrà concentrata, mentre nel caso contrario si espanderà.

Non è il corpo a dare la collera a chi non ce l'ha, così come non è il corpo a dargli tutti gli altri vizi. Tutte le virtù e tutti i vizi sono inerenti allo Spirito. Senza ciò dove starebbe il merito e la responsabilità? L'uomo menomato non può raddrizzarsi perché lo Spirito nulla può per questo, ma può modificare ciò che è dello Spirito, quando c'è una ferma volontà. L'esperienza non prova forse, Spiritisti, fin dove può giungere la potenza della volontà, attraverso le trasformazioni veramente miracolose che voi sapete operare? Dite dunque a voi stessi che l'uomo resta vizioso solo perché vuole restarvi. Ma colui che lo vuole può sempre correggersi, altrimenti la legge del progresso non esisterebbe per l'uomo.

(Hahnemann, Parigi, 1863)