IL VANGELO SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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Capitolo XVI NON SI PUÒ SERVIRE DIO E MAMMONA

Salvezza dei ricchi — Guardarsi dall'avarizia — Gesù in casa di Zaccheo —
Parabola del cattivo ricco — Parabola dei talenti — Utilità provvidenziale della ricchezza —
Disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze — Istruzioni degli Spiriti: La vera proprietà —
Impiego della ricchezza — Distacco dai beni terreni



Salvezza dei ricchi


1. «Nessun domestico può servire due padroni; perché o odierà l'uno e amerà l'altro, o avrà riguardo per l'uno e disprezzo per l'altro. Voi non potete servire Dio e Mammona.» (Luca 16:13)

2. Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, che devo.fare di buono per avere la vita eterna?» Gesù gli rispose: «Perché m'interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». «Quali?» gli chiese. E Gesù rispose: «Questi: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso. Onora tuo padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso». E il giovane a lui: «Tutte queste cose le ho osservate; che mi manca ancora?» Gesù gli disse: «Se vuoi essere perfetto, va, vendi ciò che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro nei cieli; poi, vieni e seguimi». Ma il giovane, udita questa parola, se ne andò rattristato, perché aveva molti beni. E Gesù disse ai suoi discepoli: «Io vi dico in verità che difficilmente un ricco entrerà nel regno dei cieli. E ripeto: è più facile per un cammello passare attraverso la cruna di un ago,[1] che per un ricco entrare nel regno di Dio». (Matteo, 19:16-24; Luca 18:18-25; Marco 10:17-25)

[1] Questa ardita metafora può sembrare un po' forzata, perché non si vede il rapporto fra un cammello e un ago. Il fatto è che in ebraico con la stessa parola si indicava la corda (gomena) e il cammello. Nella traduzione è stata dunque adottata quest'ultima accezione, ma è probabile che nella mente di Gesù fosse la prima. Oltre tutto sarebbe più logico.


Guardarsi dall'avarizia


3. Or uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio .fratelloche divida con me l'eredità.» Ma Gesù gli rispose: «Uomo, chi mi ha costituito su di voi giudice o spartitore?» Poi disse loro: «State attenti e guardatevi da ogni avarizia; perché non è dall'abbondanza dei beni che uno possiede, che egli ha la sua vita». E disse loro questa parabola: «La campagna di un uomo ricco fruttò abbondantemente; egli ragionava così, fra sé: "Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?" E disse: "Questo farò: demolirò i miei granai, ne costruirò altri più grandi, vi raccoglierò tutto il mio grano e i miei beni, e dirò all'anima mia: 'Anima, tu hai molti beni ammassati per molti anni; riposati, mangia, bevi, divertiti'". Ma Dio gli disse: "Stolto, questa notte stessa l'anima tua ti sarà ridomandata; e quello che hai preparato, di chi sarà?" Così è di chi accumula tesori per sé e non è ricco davanti a Dio». (Luca 12:13-21)


Gesù in casa di Zaccheo


4. Gesù, entrato in Gerico, attraversava la città. Un uomo, di nome Zaccheo, il quale era capo dei pubblicani ed era ricco, cercava di vedere chi era Gesù, ma non poteva a motivo della folla, perché era piccolo di statura. Allora per vederlo, corse avanti, e salì sopra un sicomoro, perché egli doveva passare per quella via. Quando Gesù giunse in quel luogo, alzati gli occhi gli disse: «Zaccheo, scendi, presto, perché oggi debbo fermarmi a casa tua». Egli si affrettò a scendere e lo accolse con gioia. Veduto questo, tutti mormoravano, dicendo: «È andato ad alloggiare in casa di un peccatore!» Ma Zaccheo si fece avanti e disse al Signore: «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo». Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d'Abraamo; perché il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto». (Luca 19:1-10)


Parabola del cattivo ricco


5. «C'era un uomo ricco, che si vestiva di porpora e di bisso, e ogni giorno si divertiva splendidamente; e c'era un mendicante, chiamato Lazzaro, che stava alla porta di lui, pieno di ulceri, e bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; e perfino i cani venivano a leccargli le ulceri. Avvenne che il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abraamo; morì anche il ricco, e fu sepolto. E nell'Ades, essendo nei tormenti, alzò gli occhi e vide da lontano Abraamo, e Lazzaro nel suo seno; ed esclamò: "Padre Abraamo, abbi pietà di me, e manda Lazzaro a intingere la punta del dito nell'acqua per rinfrescarmi la lingua, perché sono tormentato in questa fiamma". Ma Abraamo disse: "Figlio, ricordati che tu nella tua vita hai ricevuto i tuoi beni e che Lazzaro similmente ricevette i mali; ma ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato. Oltre a tutto questo, fra noi e voi è posta una grande voragine, perché quelli che vorrebbero passare di qui a voi non possano, né di là si passi da noi". Ed egli disse: "Ti prego, dunque, o padre, che tu lo mandi a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli, affinché attesti loro queste cose, e non vengano anche loro in questo luogo di tormento" Abraamo disse: "Hanno Mosè e i profeti; ascoltino quelli"'. Ed egli: "No, padre Abraamo; ma se qualcuno dai morti va a loro, si ravvedranno". Abraamo rispose: "Se non ascoltano Mosè e i profeti, non si lasceranno persuadere neppure se uno dei morti risuscita".» (Luca 16:19-31)


Parabola dei talenti


6. «Poiché avverrà come a un uomo il quale, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e affidò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due e a un altro uno, a ciascuno secondo la sua capacità; e partì. Subito, colui che aveva ricevuto i cinque talenti andò a farli fruttare, e ne guadagnò altri cinque. Allo stesso modo, quello dei due talenti ne guadagnò altri due. Ma colui che ne aveva ricevuto uno, andò a fare una buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo, il padrone di quei servi ritornò a fare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto i cinque talenti venne e presentò altri cinque talenti, dicendo: "Signore, tu mi affidasti cinque talenti: ecco, ne ho guadagnati altri cinque". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele; sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose: entra nella gioia del tuo Signore". Poi, si presentò anche quello dei due talenti e disse: "Signore, tu mi affidasti due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due". Il suo padrone gli disse: "Va bene, servo buono e fedele, sei stato fedele in poca cosa, ti costituirò sopra molte cose; entra nella gioia del tuo Signore". Poi si avvicinò anche quello che aveva ricevuto un talento solo, e disse: "Signore, io sapevo che tu sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso; ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra; eccoti il tuo". Il suo padrone gli rispose: "Servo malvagio e fannullone, tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; dovevi dunque portare il mio denaro dai banchieri; al mio ritorno avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento e datelo a colui che ha i dieci talenti. Poiché a chiunque ha, sarà dato ed egli sovrabbonderà; ma a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quel servo inutile, gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti".» ( Matteo 25:14-30)


Utilità provvidenziale della ricchezza


7. La ricchezza sembrerebbe un ostacolo insormontabile per la salvezza di quelli che la possiedono, così come si potrebbe dedurre da certe parole di Gesù, se interpretate alla lettera e non secondo il loro spirito. Dio, che la elargisce, avrebbe messo nelle mani di alcuni uno strumento di perdizione senza appello, pensiero che è in contrasto con la logica. La ricchezza è senza dubbio una prova molto rischiosa, più pericolosa della miseria, per la forza trascinante, per le tentazioni cui sottopone e per il fascino che esercita. È il massimo stimolo dell'orgoglio, dell'egoismo e della vita dei sensi. È il laccio più potente che vincola l'uomo alla Terra e fuorvia i pensieri dal Cielo. Produce una tale vertigine che sovente vediamo colui che passa dalla miseria alla ricchezza dimenticare subito sia la sua condizione precedente, sia quelli che con lui avevano condivisa, sia quelli che lo avevano aiutato, diventando perciò insensibile, egoista e futile. Ma, per quanto la ricchezza renda il cammino più difficile, non è detto che lo renda impossibile, e non possa essa diventare persino un mezzo di salvezza nelle mani di colui che sappia farne buon uso, così come certi veleni possono ristabilire la salute se vengono impiegati con discernimento.

Quando Gesù risponde al giovane, che gli domandava come guadagnare la vita eterna: «Va’, vendi ciò che hai e seguimi», non intendeva affatto dire che tutti devono spogliarsi di ciò che possiedono, e che la salvezza si ottiene solo a questo prezzo, ma intendeva dimostrare che l'eccessivo attaccamento ai beni terreni è un ostacolo alla salvezza. Infatti questo giovane si credeva a posto perché aveva osservato determinati comandamenti, ed era tuttavia restio all'idea di dover abbandonare i suoi beni. Il suo desiderio di ottenere la vita eterna non arrivava fino al sacrificio.

La proposta di Gesù era una prova decisiva per mettere in luce ciò che quel giovane pensava nel suo profondo. Senza dubbio egli poteva essere un perfetto e onesto uomo agli occhi del mondo, non fare torto a nessuno, non maledire il prossimo, non essere né vano né orgoglioso. Senza dubbio onorava il padre e la madre, ma non possedeva la vera carità, perché la sua virtù non arrivava fino all'abnegazione. Ecco ciò che Gesù ha voluto dimostrare: la messa in pratica del principio «Senza carità nessuna salvezza».

La conseguenza di queste parole, intese nel loro più rigoroso significato sarebbe l'abolizione della ricchezza in quanto nociva alla felicità futura e fonte di infiniti mali sulla Terra. Si tratterebbe inoltre di condannare il lavoro che può procurarla, conseguenza assurda, che ricondurrebbe l'uomo alla vita primitiva e che, proprio per questo, sarebbe in contraddizione con la legge del progresso, che è una legge di Dio.

Se la ricchezza è fonte di molti mali, se fomenta tante cattive passioni, se è causa persino di crimini, bisogna non riferirsi alla ricchezza in sé, ma all'uomo che ne abusa, come abusa di tutti i doni di Dio. A causa dell'abuso, l'uomo rende pernicioso quanto di più utile potrebbe esserci per lui. Questo è la conseguenza dello stato di inferiorità del mondo terreno. Se la ricchezza producesse solo del male, Dio non l'avrebbe messa sulla Terra. Spetta all'uomo ricavarne del bene. Se non è un elemento diretto del progresso morale è, senza tema di smentita, un potente elemento di progresso intellettuale.

Infatti, missione dell'uomo è lavorare per il miglioramento materiale del globo. Deve dissodare la terra, bonificarla, predisporla perché possa ricevere un giorno tutta la popolazione che la sua superficie comporta. E per nutrire questa popolazione che aumenta incessantemente, bisogna incrementare la produzione. Se la produzione di una regione è insufficiente, bisogna andare a cercarla altrove. Proprio per questo le relazioni fra popolo e popolo diventano una necessità. Per facilitarle è necessario abbattere gli ostacoli materiali che li dividono e rendere le comunicazioni più rapide. Per i lavori, che sono opera di secoli, l'uomo ha dovuto procurarsi dei materiali fin nelle viscere della terra. Ha cercato nella scienza il modo per impiegarli con maggiore sicurezza e rapidità. Ma per fare ciò gli ci sono volute delle risorse: la necessità ha fatto sì che la sua ricchezza crescesse, così come gli ha fatto scoprire le scienze. L'attività resa necessaria da questi lavori ha fatto crescere e sviluppare la sua intelligenza. Questa intelligenza, che si concentra dapprima nella soddisfazione dei beni materiali, l'aiuterà più tardi a comprendere le grandi verità morali. Essendo la ricchezza il primo mezzo di questa immensa realizzazione, possiamo ben dire che senza di essa non ci sarebbero i grandi lavori, le attività, gli stimoli, le ricerche. È dunque con ragione che la ricchezza viene considerata come un elemento di progresso.


Disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze


8. La disuguaglianza nella distribuzione delle ricchezze è uno di quei problemi che si cerca di risolvere, ma invano se si considera solo la vita presente. La prima domanda che si presenta è questa: perché non tutti gli uomini sono ugualmente ricchi? Non lo sono per una ragione molto semplice: perché non tutti sono ugualmente intelligenti, attivi e laboriosi per conquistarla, né sobri e previdenti per conservarla. È d'altra parte matematicamente dimostrato che la ricchezza ugualmente ripartita darebbe a ognuno una quota minima e insufficiente e, ammettendo questa ripartizione, l'equilibrio verrebbe rotto in breve tempo dalla diversità dei caratteri e delle attitudini. E supponendola possibile e duratura, avendo ognuno appena di che vivere, ne deriverebbe l'annullamento di tutti i grandi lavori che concorrono al progresso e al benessere dell'umanità. E supponendo ancora che desse a tutti il necessario, verrebbe comunque meno lo stimolo che spinge l'uomo alle grandi scoperte e alle imprese utili. Se Dio la concentra in certi settori, è perché da lì si diffonda in quantità sufficienti, secondo le necessità.

Ammesso ciò, ci si domanda perché Dio dà la ricchezza a persone incapaci di farla fruttare per il bene di tutti. Ecco un'altra prova della saggezza e bontà di Dio. Dando all'uomo il libero arbitrio, Egli ha voluto che arrivasse, con la sua esperienza personale, a distinguere il bene dal male, e che la pratica del bene fosse il risultato dei suoi sforzi e della sua stessa volontà. L'uomo non deve essere fatalmente condotto né al bene né al male, altrimenti sarebbe solo uno strumento passivo e irresponsabile, come gli animali. La ricchezza è un mezzo per metterlo alla prova moralmente. Ma, poiché essa è allo stesso tempo un potente mezzo di azione per il progresso, Dio non vuole che rimanga a lungo improduttiva ed è per questa ragione che la trasferisce continuamente. Tutti devono possederla, per provare a servirsene e per dimostrare l'uso che ne sanno fare. Siccome è materialmente impossibile che tutti la possiedano nello stesso tempo, e poiché se tutti la possedessero nessuno lavorerebbe, e il miglioramento della Terra ne soffrirebbe, ognuno la possiede quando è il suo turno. Chi non la possiede oggi l'ha già posseduta o l'avrà in un'altra esistenza e chi l'ha oggi potrà non averla domani. Ci sono ricchi e poveri, perché Dio, essendo giusto, decide che ognuno a sua volta debba lavorare. La povertà è per gli uni la prova della pazienza e della rassegnazione; la ricchezza è per gli altri la prova della carità e dell'abnegazione.

Ci si duole con ragione nel vedere il pessimo uso che alcuni fanno della loro ricchezza, le ignobili passioni suscitate dalla cupidigia, e ci si domanda se Dio è giusto a dare la ricchezza a tali persone. È chiaro che, se l'uomo avesse una sola esistenza, niente giustificherebbe una tale ripartizione dei beni della Terra. Ma se, invece di limitare le proprie vedute alla vita presente, si considerasse l'insieme delle esistenze, si vedrebbe che tutto sta in equilibrio con giustizia. Stando così le cose, il povero non ha dunque più motivo di accusare la Provvidenza né di invidiare i ricchi, e i ricchi non hanno più di che gloriarsi per quanto possiedono. Se questi d'altro canto abusano delle ricchezze, non sarà né con i decreti né con le leggi suntuarie che si potrà limitare il superfluo e il lusso e rimediare al male. Le leggi possono momentaneamente cambiare l'apparenza, ma non possono cambiare il cuore. È per questo che le leggi hanno solo una durata temporanea e sono sempre seguite da una reazione sfrenata. L'origine del male si trova nell'egoismo e nell'orgoglio. Gli abusi, di qualsiasi natura, cesseranno da se stessi quando gli uomini si regoleranno in base alla legge della carità.


ISTRUZIONI DEGLI SPIRITI
La vera proprietà


9. L'uomo non possiede di suo se non quanto può portare via con sé da questo mondo. Di ciò che trova arrivando e di ciò che lascia partendo egli fruisce durante la sua permanenza sulla Terra. Ma, poiché è forzato a lasciare tutto, egli ne ha solo l'usufrutto e non il possesso reale. Che cosa possiede dunque? Niente di ciò che è destinato all'uso del corpo, ma tutto ciò che è a uso dell'anima: l'intelligenza, le conoscenze, le qualità morali. Ecco ciò che porta e riporta via con sé, ciò che nessuno ha la facoltà di togliergli, ciò che gli servirà nell'Aldilà più ancora che qui. Da lui dipende essere più ricco alla partenza che all'arrivo, perché da ciò che avrà acquisito in bene dipende la sua posizione futura. Quando qualcuno va in un paese lontano, mette in valigia le cose necessarie per quel soggiorno, ma non si carica assolutamente di ciò che è inutile. Fate dunque lo stesso riguardo alla vita futura e fate provvista di tutto ciò che potrà servirvi là.

A un viaggiatore che arrivi in una locanda si dà una buona sistemazione se può pagare bene, a uno che ha poco da spendere si dà una sistemazione meno confortevole. Quanto a chi non ha niente, dormirà sulla paglia. Così è dell'uomo che arriva nel mondo degli Spiriti: il posto che gli verrà assegnato dipenderà dai suoi averi, ma non è con l'oro che potrà pagarlo. Non gli verrà certo domandato: «Quanto avevi sulla Terra? Quale posizione occupavi? Eri un principe o un operaio?» Ma gli si domanderà: «Che cosa hai riportato?» Non si calcolerà assolutamente il valore dei suoi beni né dei suoi titoli, ma la somma delle sue virtù. Ora, in base a questo computo, l'operaio può essere più ricco del principe. Invano quest'ultimo addurrà che prima della sua dipartita ha pagato la sua entrata nell'Aldilà con l'oro. Gli si risponderà: «Qui i posti non si comperano, si guadagnano con il bene che si è fatto. Con la moneta della Terra hai potuto comperare campi, case, palazzi; qui tutto si paga con la moneta del cuore. Sei ricco di queste qualità? Sii il benvenuto e vai ai primi posti, dove tutta la felicità ti attende. Sei povero di queste qualità? Vai all'ultimo posto, dove sarai trattato in ragione dei tuoi averi».

(Pascal, Ginevra, 1860)


10. I beni della Terra appartengono a Dio che li dispensa a Suo piacimento, e l'uomo ne è solo l'usufruttuario, l'amministratore più o meno integerrimo e intelligente. I beni sono tanto poco proprietà individuale dell'uomo, che Dio vanifica qualsiasi previsione, e la ricchezza sfugge a chi crede di possederla per diritto.

Si dirà che ciò è comprensibile per la ricchezza ereditata, ma che non lo è per la ricchezza acquisita con il proprio lavoro. Senza dubbio: se una fortuna legittima esiste, è proprio quella che viene acquisita onestamente, perché una proprietà è legittimamente acquisita solo quando, per possederla, non si è fatto torto a nessuno. Gli verrà chiesto di dar conto del denaro guadagnato a danno di altri. Ma per quanto un uomo debba la sua fortuna solo a se stesso, per questo ne porterà via di più morendo? Le cure che impiega nel trasmetterla ai suoi discendenti non sono spesso inutili? Senza dubbio sì, perché se Dio non vuole che gli eredi la ricevano, niente potrà prevalere contro la Sua volontà. Può l'uomo usarne e abusarne impunemente, durante la sua vita, senza doverne rendere conto? No. Permettendogli di acquisire questi beni, Dio ha potuto volerlo ricompensare, in questa vita, dei suoi sforzi, del suo coraggio, della sua perseveranza. Ma se l'uomo se ne è servito solo per soddisfare i suoi sensi e il suo orgoglio, se la ricchezza è diventata motivo di caduta nelle sue mani, sarebbe stato meglio per lui non averla mai posseduta. Da un lato perde quello che ha guadagnato, dall'altro annulla il merito del suo lavoro e quando lascerà la Terra Dio gli dirà che ha già ricevuto la sua ricompensa.

(M., Spirito Protettore, Bruxelles, 1861)


Impiego della ricchezza


11. Non si può servire Dio e Mammona. Tenetelo ben presente voi che siete dominati dall'amore per l'oro, voi che vendereste l'anima per possedere un tesoro, solo per il fatto che esso può elevarvi al di sopra degli altri uomini e darvi il godimento delle passioni. No, voi non potete servire Dio e Mammona! Se dunque voi sentite la vostra anima dominata dalla cupidigia della carne, affrettatevi a scuotere il giogo che vi opprime, perché Dio, giusto e severo, vi dirà: «Che cosa ne hai fatto, amministratore infedele, dei beni che ti ho affidato? Questo potente strumento delle buone opere tu l'hai usato solo per tua soddisfazione personale».

Qual è dunque il migliore impiego della ricchezza? Cercate in queste parole, «Amatevi l'un l'altro», la soluzione del problema: qui sta il segreto del buon impiego delle proprie ricchezze. Chi è animato dall'amore per il prossimo ha la sua linea di condotta tracciata. L'impegno che Dio maggiormente gradisce è la carità, non quella carità fredda ed egoistica che consiste nel dispensare intorno a sé il superfluo di un'esistenza dorata, ma quella carità piena d'amore che va in cerca della sofferenza, che soccorre senza umiliare. Ricco, dai il tuo superfluo. Fai di più: dai un po' del tuo necessario, perché il tuo necessario è ancora un di più, ma dai con avvedutezza. Non respingere i lamenti per paura di essere ingannato, ma vai all'origine del male. Prima di tutto soccorri e poi informati, per vedere se un lavoro, dei consigli e persino l'affetto non sarebbero più efficaci della tua elemosina. Diffondi intorno a te, in abbondanza, l'amore di Dio, l'amore per il lavoro, l'amore per il prossimo. Poni le tue ricchezze su una base sicura e che ti porterà dei forti interessi: le buone opere. La ricchezza dell'intelligenza deve servirti come quella dell'oro: diffondi intorno a te i tesori dell'istruzione, spargi sui tuoi fratelli i tesori dell'amore, ed essi frutteranno.

(Cheverus, Bordeaux, 1861)


12. Quando considero la brevità della vita, sono dolorosamente colpito dall'incessante preoccupazione che ha come obiettivo la conquista del benessere materiale, mentre si dedica poco o nessun tempo al perfezionamento morale che deve contare per l'eternità. Si direbbe, a vedere l'attività che viene svolta, che essa si riferisca a una questione del più alto interesse per l'umanità, mentre si tratta solo di porre l'uomo nella condizione di soddisfare dei bisogni secondari e la vanità, o di consegnarlo a degli eccessi. Quante pene, preoccupazioni, tormenti egli si dà! Quante notti insonni per rimpinguare una fortuna più che sufficiente! Al massimo dell'assurdo, non è raro vedere certuni che, per un amore smodato per la ricchezza e per i godimenti che essa procura, si assoggettano a un lavoro penoso, si vantano di un'esistenza detta di sacrificio e di merito, come se lavorassero per gli altri e non per se stessi. Insensati! Credete dunque davvero che si terrà conto delle cure e degli sforzi, la cui leva sono stati l'egoismo, la cupidigia o l'orgoglio, mentre avete trascurato la cura del vostro avvenire, anche come dovere che la solidarietà fraterna impone a tutti quelli che fruiscono dei vantaggi della vita sociale? Voi avete avuto cura solo del vostro corpo. Il suo benessere, i suoi piaceri sono stati l'unico oggetto della vostra egoistica sollecitudine. Per il corpo, che muore, voi avete trascurato il vostro Spirito, che vivrà sempre. Questo padrone tenuto in tanta considerazione e tanto blandito è anche diventato il vostro tiranno e comanda il vostro Spirito, che si fa suo schiavo. Era forse questo lo scopo dell'esistenza che Dio vi ha donato?

(Uno Spirito protettore, Cracovia, 1861)


13. Essendo l'uomo il depositario e l'amministratore dei beni che Dio ha consegnato nelle sue mani, gli verrà domandato un rendiconto severo dell'impiego che avrà fatto di quei beni, in virtù del suo libero arbitrio. Il cattivo impiego consiste nell'essersene servito solo per soddisfazione personale. Invece l'impiego è buono quando ne risulti sempre anche un minimo bene per gli altri, e il merito sarà in proporzione al sacrificio che esso ha comportato. La beneficenza è uno dei modi di impiego della ricchezza: essa dà sollievo alla miseria attuale, calma la fame, protegge dal freddo e dà un asilo a chi non ce l'ha. Inoltre ha un dovere ugualmente imperioso, ugualmente meritorio, che consiste nel prevenire la miseria. È in ciò che si configura soprattutto la missione delle grandi fortune: attraverso i lavori di tutti i generi che esse possono attivare. E anche se dovessero da questi lavori trarre un legittimo profitto, il bene non sarebbe minore, perché il lavoro sviluppa l'intelligenza ed esalta la dignità dell'uomo, sempre fiero di poter dire che ha guadagnato il pane che lo nutre, mentre l'elemosina lo umilia e degrada. La fortuna concentrata nelle mani di uno solo deve essere come una sorgente d'acqua viva che spande intorno fecondità e benessere. O voi ricchi, che impiegate la vostra fortuna secondo le intenzioni del Signore! Il vostro cuore sarà il primo a dissetarsi a questa sorgente benefica. Voi avrete in questa vita le ineffabili gioie dell'anima in luogo delle gioie materiali dell'egoismo, che lasciano il vuoto nel cuore. Il vostro nome sarà benedetto sulla Terra, e quando la lascerete, il sovrano Maestro vi rivolgerà le parole della parabola dei talenti: «Servo buono e fedele, entra nella gioia del tuo Signore!» In questa parabola, il servitore che sotterrò la moneta affidatagli, non è forse l'immagine dell'avaro nelle cui mani la ricchezza è improduttiva? Se però Gesù parla soprattutto di elemosina, è perché a quei tempi, nel paese dove viveva, non si conosceva il lavoro, che le arti e l'industria avrebbero creato in seguito, e nelle quali la ricchezza può essere impiegata utilmente per il bene generale. A tutti quelli che possono donare, poco o molto, io dirò dunque: «Fate l'elemosina quando ciò sarà necessario ma, per quanto possibile, convertitela in salario, affinché chi la riceve non arrossisca».

(Fénelon, Algeri, 1860)


Distacco dai beni terreni


14. Io vengo, miei fratelli, miei amici, a portare il mio obolo per aiutarvi a marciare coraggiosamente nel cammino del miglioramento nel quale siete entrati. Siamo debitori gli uni verso gli altri, ed è solo con un'unione sincera e fraterna fra Spiriti e incarnati che la rigenerazione è possibile.

Il vostro amore per i beni terreni è uno dei più forti ostacoli al vostro avanzamento morale e spirituale. A causa di questo attaccamento al possesso, vanificate la vostra capacità di amare, concentrandola tutta sulle cose materiali. Siate sinceri: la ricchezza dà forse la felicità pura? Quando la vostra cassaforte è colma, non c'è sempre un certo vuoto nel vostro cuore? Al fondo di questo cesto di fiori, non c'è forse sempre nascosto un serpente? Io comprendo che un uomo, con un lavoro assiduo e onesto, avendo guadagnato una fortuna provi soddisfazione, ben giusta del resto. Ma fra questa soddisfazione, molto naturale e che Dio approva, a un attaccamento che assorbe ogni altro sentimento e neutralizza gli slanci del cuore, c'è una bella distanza. La stessa distanza che c'è fra la sordida avarizia e la prodigalità sconsiderata, due vizi fra i quali Dio colloca la carità, santa e salutare virtù, che insegna ai ricchi a dare senza ostentazione, affinché il povero riceva senza umiliazione.

Che la ricchezza venga dalla vostra famiglia o che l'abbiate guadagnata con il vostro lavoro, una cosa non dovete mai dimenticare: che tutto viene da Dio e tutto a Dio ritorna. Niente vi appartiene sulla Terra, neppure il vostro povero corpo: la morte ve ne spoglia come vi spoglia di tutti i beni materiali. Voi siete i depositari e non i proprietari, non ingannatevi. Dio vi ha fatto un prestito, voi dovete restituirlo, e il prestito viene concesso a condizione che almeno il superfluo vada a coloro che non hanno il necessario.

Un vostro amico vi presta una somma, se avete un minimo di onestà vi farete premura di restituirgliela e gli serberete riconoscenza. Bene: ecco la situazione di tutti gli uomini ricchi! Dio è l'amico celeste che ha prestato loro la ricchezza non domandando più solo amore e riconoscenza, ma esigendo anche che il ricco, a sua volta, doni ai poveri che sono figli Suoi quanto lui.

I beni che Dio vi ha affidato stimolano nei vostri cuori un'ardente e folle cupidigia. Quando vi attaccate smodatamente a una ricchezza passeggera e peritura come voi, non pensate che verrà il giorno in cui dovrete rendere conto al Signore di ciò che da Lui viene? Dimenticate forse che, con la ricchezza, voi siete investiti del carattere sacro di ministri della carità sulla Terra affinché ne siate gli intelligenti dispensatori? Chi siete dunque quando usate a vostro solo profitto ciò che vi è stato affidato, se non degli infedeli depositari? Che cosa nasce da questo oblio volontario dei vostri doveri? La morte, inflessibile e inesorabile, viene a strappare il velo sotto il quale voi vi nascondete e vi obbliga a render conto proprio allo stesso amico che vi aveva favorito e che in questo momento indossa per voi l'abito del giudice.

Invano sulla Terra cercate di illudervi da voi stessi, addolcendo col nome di virtù ciò che spesso è solamente egoismo. Quello che voi chiamate fare economia ed essere previdenti è solo cupidigia e avarizia, e la vostra generosità è solo prodigalità a vostro profitto. Un padre di famiglia, per esempio, astenendosi dal fare la carità, economizzerà, accumulerà oro su oro, e questo, dice lui, per lasciare ai suoi figli il più possibile ed evitar loro di cadere in miseria. Questo è molto giusto e paterno, ne convengo, non lo si può biasimare. Ma è sempre e solo questo lo scopo che lo guida? Non è sovente un compromesso con la propria coscienza per giustificare ai propri occhi e a quelli del mondo il suo personale attaccamento ai beni terreni? Tuttavia, pur ammettendo che l'amore paterno sia il suo unico movente, è forse questo un buon motivo per dimenticare i propri fratelli davanti a Dio? Posto che lui stesso ha già il superfluo, come gli potrebbe mai accadere di lasciare i suoi figli in miseria, se li privasse di un po' di questo superfluo? Non è dare loro una lezione di egoismo e indurire i loro cuori? Non è soffocare in loro l'amore per il prossimo? Padri e madri, voi siete in grande errore se credete di aumentare in questo modo l'amore dei vostri figli nei vostri confronti. Infatti, insegnando loro a essere egoisti con gli altri, voi insegnate loro a esserlo anche con voi.

Quando un uomo ha lavorato molto e ha accumulato beni con il sudore della fronte, voi sentirete spesso dire che quando i propri soldi sono guadagnati se ne comprende meglio il prezzo: niente di più vero. Ebbene! Questo uomo, che confessa di conoscere tutto il valore dei soldi, faccia la carità secondo le sue possibilità, avrà più meriti di chi, nato nell'abbondanza, ignora le dure fatiche del lavoro. Ma se invece questo stesso uomo, che si ricorda delle sue pene e delle sue fatiche, è egoista e duro con i poveri, è ben più colpevole degli altri, perché più si conoscono per esperienza personale i dolori nascosti della miseria, più si deve essere portati a dare sollievo agli altri.

Purtroppo l'uomo di potere porta sempre con sé un sentimento forte quanto l'attaccamento alla ricchezza: l'orgoglio. Non è raro vedere il nuovo ricco stordire lo sventurato, che implora il suo aiuto, con la storia delle sue fatiche e delle sue capacità e, anziché aiutarlo, terminare dicendogli: «Fai come ho fatto io». Per lui, la bontà di Dio non è affatto nella sua ricchezza. Il merito spetta tutto a lui. Il suo orgoglio pone una benda sui suoi occhi e tappi nelle sue orecchie. Con tutta la sua intelligenza e la sua capacità, non capisce che Dio può capovolgere la sua situazione con una sola parola.

Sperperare la propria fortuna non vuol dire non avere attaccamento ai beni terreni, si tratta invece di noncuranza e indifferenza. L'uomo, depositano di questi beni, non ha il diritto di sciuparli o di appropriarsene a proprio vantaggio. La prodigalità non è generosità, è sovente una forma di egoismo. Come colui che getti l'oro a piene mani per soddisfare un capriccio e non darebbe uno scudo per rendere un favore. Il non attaccamento ai beni terreni consiste nel dare alla ricchezza il suo giusto valore, nel sapersene servire a favore degli altri e non solo per se stessi, consiste nel non sacrificarle gli interessi per la vita futura, nel perderla senza reclamare qualora a Dio piaccia togliervela. Se, per dei rovesci imprevisti, voi diventaste un altro Giobbe, come lui, dite: «Signore, voi mi avete dato la ricchezza, voi me l'avete tolta, sia fatta la Vostra volontà». Ecco il vero non attaccamento. Siate innanzi tutto sottomessi. Abbiate fede in Colui che, avendovi dato e tolto, può rendere. Resistete con coraggio alla depressione e alla disperazione che paralizzano le vostre forze. Non dimenticate mai che, quando Dio vi colpirà, a fianco di una grande prova, Egli mette sempre una consolazione. Ma pensate soprattutto che ci sono dei beni infinitamente più preziosi di quelli della Terra, e questo pensiero vi aiuterà ad allontanarvi da questi ultimi. Dare meno valore a una cosa fa sì che si sia meno sensibili quando la si perde. L'uomo che si attacca ai beni della Terra è come il bambino che vede solo il momento presente. Chi non ci tiene è come l'adulto che vede le cose più importanti, perché comprende queste profetiche parole del Signore: «Il mio regno non è di questo mondo».

Il Signore non ordina assolutamente di spogliarsi di ciò che si possiede per ridursi all'accattonaggio volontario, perché in questo caso si diventa un peso per la società. Agire in questo modo vorrebbe dire comprendere male il non attaccamento ai beni terreni; è un egoismo di altro genere, perché è un affrancarsi dalle responsabilità che la ricchezza fa pesare su chi la possiede. Dio la concede a chi Egli ritiene capace di gestirla a profitto di tutti. Il ricco ha dunque una missione, missione che può rendere bella e profittevole; rigettare la ricchezza quando viene data da Dio, significa rinunciare al beneficio del bene che si può fare amministrandola con saggezza. Saper vivere senza di lei, quando non la si ha, saperla impiegare utilmente quando la si ha, saperla sacrificare quando ciò è necessario, è agire secondo le intenzioni del Signore. Colui che riceve in sorte ciò che il mondo chiama una buona fortuna, esclami: «Mio Dio, mi mandate un nuovo incarico, datemi la forza di compierlo secondo la Vostra santa volontà».

Ecco, amici miei, ciò che intendevo insegnarvi riguardo al non attaccamento ai beni terreni. Riassumo dicendo: «Sappiate accontentarvi di poco. Se siete poveri, non invidiate i ricchi, perché la ricchezza non è necessaria per la felicità. Se siete ricchi, non dimenticate che questi beni vi sono stati affidati, e che voi dovrete giustificarne l'impiego come in un conto di denaro avuto in prestito. Non siate dei depositari infedeli, mettendoli solo al servizio della soddisfazione del vostro orgoglio e della vostra sensualità. Non credetevi in diritto di disporre, per voi unicamente, di ciò che avete avuto solo in prestito e non in dono. Se voi non saprete restituire, non avrete più il diritto di chiedere e ricordatevi che chi dà ai poveri salda il debito che ha contratto con Dio».

(Lacordaire, Constantine, 1863)


Trasmissione della ricchezza

15. Il principio, in virtù del quale l'uomo non è che il depositario della ricchezza che Dio gli permette di fruire nel corso della sua vita, gli toglie il diritto di trasmetterla ai suoi discendenti?

L'uomo può tranquillamente trasmettere, alla sua morte, i beni di cui ha goduto durante la vita, perché l'effetto di questo diritto è sempre subordinato alla volontà di Dio che può, volendo, impedire ai suoi discendenti di fruirne. È così che si vedono crollare fortune che sembravano tra le più solide. La volontà dell'uomo per mantenere la sua ricchezza nella linea di discendenza è dunque impotente, ma ciò non gli impedisce di trasmettere il prestito che ha ricevuto, perché Dio glielo toglierà quando lo riterrà giusto.

(San Luigi, Parigi, 1860)