Il Libro degli Spiriti

Allan Kardec

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CAPITOLO I
PENE E GIOIE TERRENE

1. Felicità e infelicità relative. — 2. Perdita delle persone amate — 3. Delusioni. Affetti spezzati.
— 4. Unioni antipatiche. — 5. Paura della morte. — 6. Disgusto della vita. Suicidio.


Felicità e infelicità relative.

920. L'uomo può godere sulla Terra di una felicita completa?

«No, perché la vita gli è stata data come prova o espiazione. Ma dipende da lui alleviare i suoi mali ed essere felice, per quanto gli è possibile, anche sulla Terra.»

921. Si comprende così che l'uomo sarà felice sulla Terra quando l'umanità sarà stata trasformata. Ma intanto ognuno può assicurarsi una felicità relativa?

«L'uomo è, il più delle volte, l'artefice della sua stessa infelicità. Praticando la legge di Dio egli evita molti mali e si procura una felicita tanto grande quanto lo consente la sua esistenza grossolana.»

L'uomo che sia ben convinto del suo destino futuro vede nella propria vita fisica soltanto una situazione transitoria. Per lui è un passaggio momentaneo in un cattivo ostello. Si consola facilmente dei disagi passeggeri di un viaggio che deve condurlo a una posizione tanto migliore quanto meglio e in anticipo avrà fatto i suoi preparativi.

Noi siamo puniti, fin da questa vita, per l'infrazione alle leggi dell'esistenza fisica, attraverso i mali che sono la conseguenza di questa infrazione e dei nostri eccessi. Se noi risaliamo progressivamente all'origine di ciò che chiamiamo i nostri mali terreni, noi vedremo, nella maggior parte dei casi, che essi sono la conseguenza di una prima deviazione dalla retta via. A causa di questa deviazione noi ci siamo immessi su una cattiva strada e, di conseguenza, sprofondiamo nell'infelicità.


922. La felicità terrena è relativa alla posizione di ognuno. Ciò che basta per la felicità dell'uno, costituisce infelicità per Mitra Esiste tuttavia una misura di felicita comune a tutti gli uomini?

«Per la vita materiale questa misura è data dal possesso del necessario. Per la vita morale è data dalla buona coscienza e dalla fede nel futuro.»

923. Ciò che sarebbe il superfluo per gli uni, non diventa forse il necessario per gli altri, e viceversa, a seconda della posizione sociale?

«Sì, secondo le vostre idee materiali, i vostri pregiudizi, la vostra ambizione e tutti i vostri ridicoli capricci, di cui il futuro farà giustizia quando voi comprenderete la verità. Certamente chi aveva cinquantamila lire di rendita e oggi si trova ridotto a dieci, si ritiene molto infelice perché non può più ben figurare, mantenere quella ch'egli chiama la sua posizione, avere dei cavalli, dei lacchè, soddisfare tutte le sue passioni ecc. Crede di mancare del necessario. Ma pensate francamente che lo si debba compiangere, quando a fianco a lui c’è chi muore di fame e di freddo e non ha un rifugio dove riposare le sue membra? Il saggio, per essere felice, guarda al di sotto di sé, e mai al di sopra, a meno che non sia per elevare la sua anima verso l'infinito.» (Vedere n. 715.)

924. Ci sono dei mali che non dipendono dal modo di agire e che colpiscono anche l’uomo più giusto. Non esiste alcun mezzo per potersene preservare?

«L'uomo deve rassegnarsi e sopportarli senza lamentarsi, se vuole progredire. Ma egli trae sempre consolazione dalla sua coscienza, che gli dà la speranza d'un futuro migliore, se fa ciò che è necessario per ottenerlo.»

925. Perché Dio favorisce con i doni della ricchezza certi uomini che non sembrano averla meritata?

«È un privilegio agli occhi di coloro che vedono solo il presente. Ma, sappiatelo, la ricchezza e spesso una prova più pericolosa della miseria.» (Vedere n. 814 e sgg.)

926. La civilizzazione, creando nuovi bisogni, non è forse la fonte di nuove afflizioni?

«I mali di questo mondo sono in ragione dei bisogni fittizi che voi vi create. Chi sa limitare i propri desideri, e guarda senza invidia ciò che sta al di sopra di lui, si risparmia molte delusioni in questa vita. Il più ricco degli uomini è colui che ha meno bisogni.

Voi invidiate le gioie di coloro che vi sembrano i felici del mondo; ma sapete voi che cosa e loro riservato? Se essi fruiscono dei vantaggi solo per sé stessi, sono degli egoisti e allora avverrà il rovescio. Compiangeteli, piuttosto. Dio permette qualche volta che il malvagio prosperi, ma la sua felicita non è da invidiare, perché la pagherà con lacrime amare. Se il giusto è infelice, e una prova di cui gli sarà tenuto conto se la sopporterà con coraggio. Ricordatevi di queste parole di Gesù: Felici quelli che soffrono, perché saranno consolati

927. Il superfluo non è certamente indispensabile alla felicità, ma non è così del necessario. Ora, l'infelicità di coloro che sono privi di questo necessario non è reale?

«L'uomo e veramente infelice solo quando soffre della mancanza di ciò che è necessario alla vita e alla salute del corpo. Questa privazione potrebbe essere un suo errore, e allora dovrà prendersela solo con sé stesso. Se, invece, e un errore di altri, allora la responsabilità ricadrà su colui che ne è la causa.»

928. Attraverso la peculiarità delle attitudini naturali, Dio ci indica con chiarezza la nostra vocazione in questo mondo. Molti mali non provengono forse dal fatto che noi non seguiamo questa vocazione?

«È vero. E sono sovente i genitori che, per orgoglio o per grettezza, fuorviano i loro figli dalla strada tracciata dalla natura e compromettono con questo spostamento la loro felicita. Essi ne saranno responsabili.»

928a. Così voi trovereste giusto che ii figlio di un uomo di elevata condizione sociale facesse, per esempio, ii ciabattino se avesse attitudine per questo mestiere?

«Non si deve cadere nell'assurdo, né esagerare in nulla: la civilizzazione ha le sue necessita. Perché il figlio di un uomo altolocato, come voi dite, dovrebbe fare il ciabattino se può fare altro? Potrà sempre rendersi utile secondo le sue attitudini, se queste non vengono impiegate controsenso. Così, per esempio, invece di un cattivo avvocato, forse potrebbe essere un ottimo meccanico ecc.»

Il dislocamento degli uomini fuori della loro sfera intellettuale e sicuramente una delle cause più frequenti di delusione. La inidoneità per la carriera abbracciata è una fonte inesauribile di insuccessi. Infatti l'amor proprio, venendosi a unire a ciò, impedisce all'uomo prostrato di cercare una risorsa in una professione più umile, e gli indica il suicidio come il rimedio supremo per sfuggire a ciò che egli crede sia un'umiliazione. Se un'educazione morale l'avesse elevato al di sopra degli sciocchi pregiudizi dell'orgoglio, giammai egli sarebbe stato preso alla sprovvista.

929. Ci sono persone che, essendo prive di tutte le risorse anche quando l'abbondanza regna intorno a loro, non hanno che la morte come prospettiva. Quale risoluzione devono prendere? Devono lasciarsi morire di fame?

«Non si deve mai avere l'idea di lasciarsi morire di fame. Si può sempre trovare il modo di nutrirsi, se l'orgoglio non s'interponesse fra necessità e lavoro. Si dice sovente: "Non esiste affatto un mestiere sciocco". Non c’è lavoro che disonori. Lo si dice per gli altri e non per sé stessi.»

930. È evidente che senza i pregiudizi sociali, dai quali ci si lascia dominare, si troverebbe sempre un lavoro qualsiasi che può aiutare a vivere, si dovesse anche rinunciare alla propria posizione sociale. Ma, fra le persone che non hanno affatto pregiudizi o che li mettono da parte, ci sono quelle che si trovano nell'impossibilità di far fronte alle loro necessità, in conseguenza di malattie o di altre cause indipendenti dalla loro volontà?

«In una società organizzata secondo la legge di Cristo, nessuno deve morire di fame.»

Con una organizzazione sociale saggia e previdente, l'uomo non può mancare del necessario se non per propria colpa. Ma i suoi errori sono sovente anche il risultato dell'ambiente in cui si trova. Quando l'uomo praticherà la legge di Dio, avrà un ordine sociale fondato sulla giustizia e sulla solidarietà, e anche lui stesso sarà migliore. (Vedere n. 793.)

931. Perché nella società le classi sofferenti sono più numerose di quelle felici?

«Nessuna e completamente felice. Ciò che si crede felicita nasconde sovente strazianti dolori. La sofferenza e ovunque. Ciononostante, per rispondere al vostro pensiero, diro che le classi che voi chiamate sofferenti sono più numerose, perché la Terra e un luogo di espiazione. Quando l'uomo ne avrà fatto il regno del bene e dei buoni Spiriti, non ci saranno più infelici, e la Terra sarà per lui il paradiso terrestre.»

932. Perché in questo mondo i cattivi influenzano così spesso i buoni?

«Ciò è dovuto alla debolezza dei buoni. I cattivi sono intriganti e audaci, i buoni sono timidi. Ma quando questi lo vorranno, prenderanno il sopravvento.»

933. Se sovente l'uomo è l'artefice delle sue sofferenze materiali, lo è anche delle sofferenze morali?

«Più ancora, perché le sofferenze materiali sono a volte indipendenti dalla volontà. Ma l'orgoglio offeso, l'ambizione frustrata, l'ansietà dell'avarizia, l'invidia, la gelosia, tutte le passioni, in una parola, sono torture dell'anima.

L'invidia e la gelosia! Beati coloro che non conoscono questi due vermi roditori! Con l'invidia e la gelosia, nessuna calma, nessun riposo e possibile a chi e afflitto da questo male: gli oggetti della sua cupidigia, del suo odio, del suo rancore si drizzano davanti a lui come fantasmi che non gli concedono alcuna tregua e lo perseguitano persino nel sonno. L'invidioso e il geloso si trovano in un costante stato febbrile. È forse questa una condizione desiderabile? E non comprendete che con le sue passioni l'uomo si crea dei supplizi volontari, e che la Terra diventa per lui un vero inferno?»

Molte espressioni illustrano in modo efficace gli effetti di queste passioni. Si dice: essere pieno d'orgoglio, morire d'invidia, consumarsi di gelosia o di rancore perdendo la voglia di bere, di mangiare ecc. Tutte espressioni non lontane dal vero. A volte l'invidia non ha nemmeno un oggetto determinato. Ci sono persone invidiose per natura di tutto ciò che si distingue, di tutto ciò che esce dal comune, anche se non ne hanno alcun interesse diretto, ma unicamente perché non possono raggiungerlo. Tutto ciò che appare al di sopra dell'orizzonte le offusca e, se esse fossero in maggioranza nella società, vorrebbero ridurre tutto al loro livello. Si tratta di invidia unita alla mediocrità.

L'uomo è sovente infelice per l'importanza che attribuisce alle cose della Terra. Sono la vanita, l'ambizione e la cupidigia deluse che fanno la sua infelicità. Se si ponesse al di sopra del ristretto ambito della vita materiale, se elevasse i suoi pensieri verso l'infinito, che è la sua destinazione, le vicissitudini dell'umanità gli sembrerebbero allora meschine e puerili, come i dispiaceri del bambino che si affligge per la perdita di un giocattolo che rappresentava la sua felicita suprema.

Colui che vede la felicita solo nella soddisfazione dell'orgoglio e degli appetiti grossolani è infelice quando non può soddisfarli, mentre colui che non domanda niente di superfluo e felice di ciò che altri considererebbero come delle calamità.

Stiamo parlando dell'uomo civilizzato, perché il primitivo, avendo dei bisogni più limitati, non ha gli stessi motivi di cupidigia e di angoscia. Il suo modo di vedere le cose e tutt'altro. Nello stato di civilizzazione l'uomo riflette sulla sua infelicità e l'analizza, ed e per questo che ne e maggiormente ferito, ma può anche riflettere sui mezzi di consolazione e analizzarli. Questa consolazione egli l'attinge nel sentimento cristiano, che gli dà la speranza di un futuro migliore, e nello Spiritismo, che gli dà la certezza di questo futuro.

Perdita delle persone amate.

934. La perdita delle persone che ci sono care non è forse una di quelle perdite che ci causano un dolore tanto più legittimo in quanto questa perdita è irreparabile e indipendente dalla nostra volontà?

«Questa causa di dolore colpisce il ricco come il povero: e una prova o un'espiazione, ed è legge comune. Ma c’è la consolazione di poter comunicare con i vostri amici con i mezzi di cui disponete, in attesa di averne altri più diretti e più accessibili ai vostri sensi

935. Che cosa pensare dell'opinione di quelle persone che considerano le comunicazioni d'oltretomba una profanazione?

«Non ci può essere profanazione quando c’è raccoglimento e quando l'evocazione e fatta con rispetto e convenientemente. Ciò è dimostrato dal fatto che gli Spiriti che vi amano vengono con piacere, sono felici del vostro ricordo e di intrattenersi con voi. Ci sarebbe profanazione se lo si facesse con leggerezza.»

La possibilità di entrare in comunicazione con gli Spiriti è una grande consolazione, poiché ci dà modo di intrattenerci con i nostri parenti e amici, che hanno lasciato la Terra prima di noi. Con l'evocazione li avviciniamo a noi. Essi stanno al nostro fianco, ci ascoltano e ci rispondono, non c’è più, per così dire, separazione fra loro e noi. Ci aiutano con i loro consigli, ci testimoniano il loro affetto e la gioia ch'essi provano per il nostro ricordo. Per noi è una soddisfazione saperli felici, apprendere da loro stessi i particolari della loro nuova esistenza e acquisire la certezza di raggiungerli a nostra volta.

936. Come il dolore inconsolabile dei sopravvissuti raggiunge gli Spiriti che ne sono l'oggetto?

«Lo Spirito e sensibile al ricordo e al rimpianto di quelli che l'hanno amato, ma un dolore incessante e irrazionale lo colpisce dolorosamente perché egli vede, in questo dolore eccessivo, una mancanza di fede nel futuro e di fiducia in Dio e, di conseguenza, un ostacolo al loro progresso e forse al ricongiungimento.»

Dal momento che lo Spirito è più felice che sulla Terra, dolersi ch'egli abbia lasciato la vita corporea e come dolersi ch'egli sia felice. Due amici si trovano in carcere, rinchiusi nella medesima cella; tutti e due devono un giorno riacquistare la loro libertà, ma uno la ottiene prima dell'altro. Sarebbe caritatevole, da parte di quello che rimane in carcere, sentirsi offeso perché il suo amico e stato liberato prima di lui? Non ci sarebbe forse più egoismo che affetto, da parte sua, nel volere che l'altro condivida la sua prigionia e le sue sofferenze tanto quanto lui? Lo stesso è di due esseri che si amano sulla Terra. Chi parte per primo e il primo a essere liberato, e noi dobbiamo felicitarcene, attendendo pazientemente il momento in cui lo saremo a nostra volta.

A questo proposito facciamo un altro paragone. Avete un amico, vicino a voi, che si trova in una situazione molto penosa. La sua salute o i suoi interessi esigono che vada in un altro paese dove si troverà meglio sotto tutti gli aspetti. Non sarà più vicino a voi momentaneamente, ma voi sarete sempre in comunicazione con lui, poiché la separazione sarà solo fisica. Sareste voi dispiaciuti per il suo allontanamento, dal momento che è per il suo bene?

La Dottrina Spiritista, attraverso le prove evidenti che dà sulla vita futura, sulla presenza intorno a noi di coloro che abbiamo amato, sulla continuità del loro affetto e della loro sollecitudine, attraverso le relazioni che essa ci permette d'intrattenere con loro, ci offre una profondissima consolazione per una delle cause più legittime di dolore. Con lo Spiritismo, non più solitudine, non più abbandono. L'uomo più isolato ha sempre vicino a lui degli amici con i quali può intrattenersi.

Noi non sopportiamo con pazienza le tribolazioni della vita. Esse ci sembrano così intollerabili che pensiamo di non poterle sopportare. Tuttavia, se le abbiamo sopportate con coraggio, se abbiamo saputo mettere a tacere le nostre lamentele, ce ne feliciteremo quando saremo fuori da questa prigione terrena, come il paziente che soffre si felicita, quando e guarito, di essersi sottoposto a un trattamento doloroso.


Delusioni. Affetti spezzati.

937. Le delusioni, che ci procurano l'ingratitudine e la fragilità dei legami d'amicizia, non sono forse anche per l'uomo di cuore una fonte di amarezza?

«Sì. Ma noi vi insegniamo a compiangere gli ingrati e gli amici infedeli: essi saranno più infelici di voi. L'ingratitudine è figlia dell'egoismo, e l'egoista troverà più tardi dei cuori insensibili come lui stesso ha avuto. Pensate a tutti quelli che hanno praticato il bene più di voi, che erano meglio di voi e che sono stati ripagati con l'ingratitudine. Pensate che Gesù stesso e stato schernito e vilipeso quando era in vita, trattato da furfante e da impostore, e non stupitevi che accada lo stesso nei vostri confronti. Il bene che avete fatto sia la vostra ricompensa in questo mondo, e non considerate ciò che ne dicono coloro che l'hanno ricevuto. L'ingratitudine è una prova per la vostra costanza nel fare il bene. Di ciò a voi sarà tenuto conto, mentre a coloro che vi avranno disconosciuti la punizione sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà stata la loro ingratitudine.»

938. Le delusioni causate dall'ingratitudine non sono forse fatte apposta per indurire il cuore e chiuderlo alla sensibilità?

«Questo sarebbe un errore, perché l'uomo di cuore, come voi dite, è sempre felice del bene che fa. Sa che, qualora non ci se ne ricordi in questa vita, ci si ricorderà di lui nell'altra, e che l'ingrato ne avrà vergogna e rimorsi.»

938a. Questo pensiero non impedisce al suo cuore di sentirsi ferito. Pertanto, ciò non potrebbe far nascere in lui l'idea che sarebbe più felice se fosse meno sensibile?

«Sì, se preferisce la felicita dell'egoista, che è una ben triste felicita! Sappia dunque che gli amici ingrati che l'abbandonano non sono degni della sua amicizia e che si è ingannato sul loro conto. Pertanto non deve rimpiangerli. Più tardi ne troverà altri che sapranno comprenderlo meglio. Compatite coloro che hanno verso di voi comportamenti riprovevoli, che voi non avete meritato, perché ne avranno un triste riscontro. Ma non affliggetevene: è questo il mezzo per mettervi al di sopra di loro.»

La natura ha dato all'uomo la necessita di amare e di essere amato. Una delle gioie più grandi, che gli sia concessa sulla Terra, e quella di incontrare dei cuori che simpatizzino con il suo. Questa gioia gli offre così le primizie della felicita che gli è riservata nel mondo degli Spiriti perfetti, dove tutto e amore e benevolenza. È una gioia che all'egoista è preclusa.

Unioni antipatiche.

939. Polche gli Spiriti simpatici sono portati a unirsi, come può accadere che, fra gli Spiriti incarnati, l'affetto sia sovente da una parte sola, e che l'amore più sincero venga accolto con indifferenza e persino con repulsione? Come può accadere, inoltre, che l'affetto più vivo di due esseri possa trasformarsi in antipatia e, a volte, in odio?

«Voi non comprendete dunque che è una punizione, ma che essa e solo passeggera. E poi quanti ce n'e di quelli che credono di amare perdutamente perché giudicano solo dalle apparenze e, quando sono obbligati a vivere con le persone, non tardano a riconoscere che altro non è che attrazione fisica! Non basta essere innamorati di una persona che vi piace e a cui voi attribuite belle qualità. È vivendo veramente insieme che si può apprezzarla. Quante unioni ci sono che a tutta prima sembrano non dover mai essere compatibili, e dopo, quando l'uno e l'altra si sono ben conosciuti e ben studiati, finiscono con l'amarsi di un amore tenero e duraturo, perché fondato sulla stima! Non bisogna dimenticare che è lo Spirito che ama, e non il corpo, e quando l'infatuazione fisica svanisce, lo Spirito si rende conto della realtà.

Ci sono due tipi di affetto: quello del corpo e quello dell'anima, e sovente si scambia l'uno per l'altro. L'affetto dell'anima, quando e puro e simpatico, è duraturo. Quello del corpo e passeggero. Ecco perché spesso quelli che credono di amarsi di un amore eterno si odiano quando l'attrazione fisica si esaurisce.»

940. La mancanza di simpatia fra gli esseri destinati a vivere insieme non è ugualmente una fonte di dispiaceri tanto più amari in quanto essi avvelenano tutta l'esistenza?

«Molto amari, in effetti. Ma e una di quelle infelicità di cui voi sovente siete la prima causa. Innanzi tutto sono le vostre leggi che sono sbagliate, perché voi credete che Dio vi obblighi a restare con chi non vi piace. E poi, in queste unioni, voi cercate sovente più la soddisfazione del vostro orgoglio e della vostra ambizione che la felicita di un mutuo affetto. Voi subite quindi le conseguenze dei vostri pregiudizi.»

940a. Ma in questo caso non c'è quasi sempre una vittima innocente?

«Sì. Ed e per lei una dura espiazione. Ma la responsabilità della sua infelicità ricadrà su coloro che ne saranno la causa. Se la luce della verità e già penetrata nella sua anima, essa riporrà la sua consolazione nella sua fede nel futuro. Del resto nella misura in cui i pregiudizi andranno indebolendosi, le cause di questa infelicità intima andranno esse pure scomparendo.»

Paura della morte.

941. La paura della morte è per molti una causa di perplessità. Da dove viene questa paura, dal momento che hanno davanti a sé l'avvenire?

«È a torto che essi hanno questa paura. Ma che volete? Si cerca di persuaderli nella loro giovinezza che c’è un inferno e un paradiso, ma che è più certo che essi andranno all'inferno, perché si dice loro che quanto è nella natura stessa è già un peccato mortale per l'anima. Allora, quando diventano adulti, se hanno un po' di giudizio, non possono più ammettere ciò e diventano atei o materialisti. È così che li si induce a credere che oltre alla vita presente non c’è più niente. Quanto a coloro che hanno persistito nelle loro credenze dell'infanzia, essi temono questo fuoco eterno che deve bruciarli senza distruggerli.

La morte, invece, non ispira al giusto alcuna paura perché, con la fede, ha la certezza del futuro. La speranza gli fa attendere una vita migliore; la carità, di cui ha praticato la legge, gli dà la sicurezza che non incontrerà nel mondo, in cui sta per entrare, nessun essere di cui debba temere lo sguardo.» (Vedere n. 730.)

L'uomo carnale, più attaccato alla vita fisica che a quella spirituale, ha sulla Terra pene e gioie materiali. La sua felicita consiste nella soddisfazione passeggera di tutti i suoi desideri. La sua anima, costantemente preoccupata e minacciata dalle vicissitudini della vita si trova in uno stato di ansietà e di tormento perenni. La morte lo spaventa perché dubita del suo futuro e perché lascia sulla Terra tutti i suoi affetti e tutte le sue speranze.

L'uomo morale, che si è elevato al di sopra dei bisogni fittizi creati dalle passioni, ha già sulla Terra delle gioie sconosciute all'uomo materialista. La moderazione dei suoi desideri dona al suo Spirito la pace e la serenità. Felice del bene che fa, non ci sono per lui delusioni, e le contrarietà scivolano sulla sua anima senza lasciarvi tracce dolorose.


942. Certe persone non troveranno forse questi consigli per essere felici sulla Terra un po' banali? Non ci vedranno forse solo quelli che esse chiamano luoghi comuni o verità trite e ritrite? E non diranno che, in definitiva, il segreto per essere felici è saper sopportare la propria in felicita?

«Ce ne sono di quelle che diranno questo, e molte. Ma accade a loro come a certi malati, ai quali il medico prescrive la dieta, ma essi vorrebbero guarire senza medicine e continuando a fare indigestioni.»

Disgusto della vita. Suicidio.

943. Da dove viene il disgusto della vita che s'impadronisce di certi individui senza un motivo plausibile?

«Conseguenza dell'ozio, della mancanza di fede e, sovente, della sazietà.

Per colui che esercita le sue facoltà con uno scopo utile e secondo le sue attitudini naturali, il lavoro non ha niente di arido, e la vita scorre più rapidamente. Egli ne sopporta le vicissitudini con tanta più pazienza e rassegnazione, in quanto agisce in vista della felicita più solida e duratura che lo attende.»

944. L'uomo ha diritto di disporre della sua stessa vita?

«No. Solo Dio ha questo diritto. Il suicidio volontario e una trasgressione a questa legge.»

944a. Il suicidio non è forse sempre volontario?

«Il folle che si uccide non sa quello che fa.»

945. Che cosa pensare del suicidio che ha come causa il disgusto della vita?

«Insensati! Perché non si davano da fare? L'esistenza non sarebbe stata loro di peso.»

946. Che cosa pensare del suicidio che ha come scopo quello di sottrarsi ai dolori e alle disillusioni di questo mondo?

«Poveri Spiriti! Che non hanno il coraggio di sopportare le miserie dell'esistenza! Dio aiuta quelli che soffrono e non quelli che non hanno né forza né coraggio. Le tribolazioni della vita sono delle prove o delle espiazioni. Felici coloro che le sopportano senza lamentarsi, perché essi ne saranno ricompensati! Infelicità invece per coloro che s'aspettano la loro salvezza da quella che, nella loro empietà, chiamano caso o sorte! Il caso o la sorte, per servirmi del loro linguaggio, possono in effetti favorirli provvisoriamente, ma è per far loro sentire, più tardi e più crudelmente, la nullità di queste parole.»

946a. Quelli che hanno condotto gli infelici a questo atto di disperazione ne subiranno le conseguenze?

«Oh, quelli là! Infelicità a loro!Perché essi ne risponderanno come di un assassinio

947. L'uomo che si trova alle prese con il bisogno e che si lascia morire per disperazione può essere considerato un suicida?

«È un suicida. Ma coloro che ne sono la causa o che avrebbero potuto trattenerlo sono più colpevoli di lui. L'indulgenza lo attende. Comunque non crediate che sia completamente assolto se ha mancato di fermezza e di perseveranza e se non ha fatto uso di tutta la sua intelligenza per uscire dalle difficolta. Infelicità soprattutto a lui, se la sua disperazione nasce dall'orgoglio. Intendo dire se e uno di quegli uomini in cui l'orgoglio paralizza le risorse dell'intelligenza, che si vergognano di dover affidare l'esistenza al lavoro manuale e che preferiscono morire di fame piuttosto che rinunciare a quella che essi chiamano la posizione sociale! Non c’è forse cento volte più grandezza e dignità nel lottare contro le avversità, nell'affrontare la critica di un mondo futile ed egoistico, che si dimostra ben disposto solo verso coloro che non mancano di niente, e che vi gira le spalle appena di questo mondo voi avete bisogno? Sacrificare la propria vita alla considerazione di questo mondo e stupido, perché esso non ne tiene alcun conto.»

948. Il suicidio che ha come scopo quello di sottrarsi alla vergogna di una cattiva azione è condannabile come quello causato dalla disperazione?

«Il suicidio in questo caso non cancella il peccato. Al contrario, perché qui i peccati sono due al posto di uno. Quando si è avuto il coraggio di fare il male, bisogna anche avere quello di subirne le conseguenze. Dio giudica e, secondo la causa, può a volte attenuare il rigore.»

949. Il suicida è perdonabile quando il suo gesto ha lo scopo d'impedire che l'onta ricada sui figli o sulla famiglia?

«Chi agisce così non fa bene, ma lo crede. E Dio gliene tiene conto, perché è un'espiazione che s'impone da sé stesso. Egli attenua la sua colpa attraverso l'intenzione, ciò nondimeno commette un errore. Pertanto, abolite abusi e pregiudizi dalla vostra società e non avrete più suicidi.»

Chi si priva della vita, per sottrarsi alla vergogna di una cattiva azione, dimostra di tenere più alla stima degli uomini che a quella di Dio, perché egli sta per rientrare nella vita spirituale carico delle sue iniquità e si è privato dei mezzi per ripararle durante la vita. Però Dio è sovente meno intransigente degli uomini. Perdona il pentimento sincero e tiene conto della riparazione. Il suicidio non ripara niente.

950. Che cosa pensare di chi si priva della vita nella speranza di giungere prima a una vita migliore?

«Altra follia! Faccia del bene e sarà più sicuro di arrivarci. Con il suicidio, infatti, ritarda il suo ingresso in un mondo migliore e lui stesso domanderà di tornare per finire questa vita che ha spezzato per una falsa idea. Una colpa, qualunque essa sia, non apre mai il santuario degli eletti.»

951. Il sacrificio della propria vita non è qualche volta meritorio, se ha lo scopo di salvare quella altrui o di essere utile ai suoi simili?

«Questo e sublime, secondo l'intenzione, poiché il sacrificio della propria vita non è un suicidio. Ma Dio si oppone a un sacrificio inutile e non può vederlo con piacere se è offuscato dall'orgoglio. Un sacrificio è meritorio solo se disinteressato, mentre a volte chi lo compie ha un secondo fine, che ne diminuisce il valore agli occhi di Dio.»

Ogni sacrificio, fatto a spese della propria stessa felicita, e un atto sovranamente meritorio agli occhi di Dio, perché si tratta della pratica della legge di carità. Pertanto, essendo la vita il bene terreno al quale l'uomo attribuisce il più alto valore, chi vi rinuncia per il bene dei suoi simili non commette affatto un reato: e un sacrificio quello che compie. Ma prima di compierlo egli deve considerare se la sua vita non possa essere più utile della sua morte.

952. L'uomo che soccombe, vittima dell'abuso di passioni ch’egli sapeva che avrebbero affrettato la sua fine, ma alle quali non ha più la forza di resistere, perché l'abitudine ne ha fatto delle vere necessità fisiche, commette un suicidio?

«È un suicidio morale. Non comprendete che in questo caso l'uomo e doppiamente colpevole? C’è in lui mancanza di coraggio e bestialità, e soprattutto oblio di Dio.»

952a. È più colpevole o meno colpevole di chi si toglie la vita per disperazione?

«È più colpevole, perché ha il tempo per riflettere sul suo suicidio. In colui che lo commette all'improvviso c’è qualche volta una specie di sconvolgimento che assomiglia alla follia. L'altro sarà punito molto di più perché le pene sono sempre proporzionali alla consapevolezza che si ha delle colpe commesse.»

953. Quando una persona vede davanti a sé una morte inevitabile e terribile, è colpevole se abbrevia di qualche istante le sue sofferenze con una morte volontaria?

«Si è sempre colpevoli quando non si attende il termine fissato da Dio. D'altra parte si e veramente certi che questo termine sia arrivato malgrado le apparenze? Non si potrebbe ricevere un aiuto insperato all'ultimo momento!»

953a. Ben si comprende che in circostanze ordinarie il suicida sia condannabile. Ma supponiamo il caso in cui la morte sia inevitabile e la vita venga abbreviata solo di qualche istante.

«È sempre una mancanza di rassegnazione e di sottomissione alla volontà del Creatore.»

953b. Quali sono, in questo caso, le conseguenze di questa azione?

«Un'espiazione proporzionata alla gravita della colpa, secondo le circostanze, come sempre.»

954. Un'imprudenza che comprometta, senza necessità, la vita è condannabile?

«Non c’è colpevolezza se non quando vi sia intenzione o effettiva coscienza di fare il male.»

955. Le donne che, in certi paesi, si bruciano volontariamente sul cadavere del proprio marito, possono essere considerate delle suicide? E ne subiscono le conseguenze?

«Esse ubbidiscono a un pregiudizio e sovente più al potere che alla loro stessa volontà. Esse credono di compiere un dovere, e questo non si configura come suicidio. L'attenuante sta nella nullità morale della maggior parte di loro e nella loro ignoranza. Questi costumi barbari e stolti spariranno con la civilizzazione.»

956. Coloro che, non potendo sopportare la perdita di persone che sono loro care, si uccidono nella speranza di andare a raggiungerle, ottengono il loro scopa?

«Il risultato per loro e ben diverso da quello che si aspettano e, anziché essere riuniti all'oggetto del loro affetto, se ne allontanano per più lungo tempo, perché Dio non può ricompensare un atto di codardia e l'insulto che a Lui è stato fatto, dubitando della Sua Provvidenza. Essi pagheranno questo istante di follia con dispiaceri più grandi di quelli che essi credevano di abbreviare e non avranno per compensarli la soddisfazione che si attendevano.» (Vedere n. 934 e sgg.)

957. Quali sono in generale le conseguenze del suicidio sullo stato dello Spirito?

«Le conseguenze del suicidio sono molto varie. Non ci sono pene prefissate e, in ogni caso, sono sempre relative alle cause che l'hanno provocato. Ma una conseguenza alla quale il suicida non può sottrarsi è la delusione. Del resto la sorte non è la medesima per tutti: dipende dalle circostanze. Alcuni espiano la loro colpa immediatamente, altri in una nuova esistenza, che sarà peggiore di quella di cui hanno interrotto il corso.»

L'osservazione dimostra in effetti che le conseguenze del suicidio non sono sempre le medesime, ma che ce ne sono di comuni a tutti i casi di morte violenta o a seguito dell'interruzione brusca della vita. Si tratta innanzi tutto del persistere più prolungato e più tenace del legame che unisce lo Spirito al corpo, essendo questo legame quasi sempre al culmine della sua forza nel momento in cui è stato troncato. Nella morte naturale, invece, esso s'indebolisce gradualmente e sovente viene spezzato prima che la vita sia completamente estinta. Le conseguenze di questo stato di cose sono il protrarsi del turbamento dello Spirito, poi il protrarsi dell'illusione che, per un tempo più o meno lungo, fa credere allo Spirito che si trovi ancora nel numero dei vivi. (Vedere nn. 155 e 165.)

L'affinità che persiste fra lo Spirito e il corpo produce, in qualche suicida, una sorta di ripercussione dello stato del corpo sullo Spirito. Questo risente così, suo malgrado, degli effetti della decomposizione e ne prova una sensazione colma di angoscia e di orrore. Questo stato può persistere tanto a lungo quanto avrebbe dovuto durare la vita che essi hanno interrotta. Questo effetto non è generale, ma in nessun caso il suicida viene liberato dalle conseguenze della sua mancanza di coraggio e prima o poi, in un modo o nell'altro, espia la sua colpa. Avviene così che certi Spiriti, che erano stati molto infelici sulla Terra, hanno detto di essersi suicidati nella loro precedente esistenza e di esserci volontariamente sottoposti a nuove prove per tentare di superarle con maggiore rassegnazione. In alcuni c’è una specie di attaccamento alla materia, da cui cercano invano di liberarsi per fuggire verso mondi migliori, il cui accesso, pero, e loro interdetto. Nella maggior parte di loro c’è il rimorso d'aver fatto una cosa inutile, poiché ne provano solo delusione. La religione, la morale, tutte le filosofie condannano il suicidio in quanto contrario alla legge di natura. Tutti, in linea di massima, ci dicono che non si ha il diritto di abbreviare volontariamente la propria vita. Ma perché non si ha questo diritto? Perché non si è liberi di porre termine alle proprie sofferenze? Era riservato allo Spiritismo dimostrare, attraverso l'esempio di quelli che ne soccombettero, che non si tratta solo di una colpa, come un'infrazione a una legge morale — considerazione di poco peso per certuni — ma di un atto stupido, perché non ci si guadagna niente. Non è con la teoria che lo Spiritismo ci erudisce, ma con i fatti che ci mette sotto gli occhi.