Il Libro degli Spiriti

Allan Kardec

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CAPITOLO X
IX — LEGGE DI LIBERTÀ

1. Libertà naturale. — 2. Schiavitù. — 3. Libertà di pensiero. — 4. Libertà di coscienza. — 5. Libero arbitrio.
— 6. Fatalità. — 7. Conoscenza del futuro. — 8. Riassunto teorico del movente delle azioni dell'uomo.


Liberia naturale.

825. Esistono situazioni in cui l'uomo possa credere di fruire di una libertà assoluta?

«No, perché tutti voi avete bisogno gli uni degli altri, i piccoli come i grandi.»

826. Quale sarebbe la condizione nella quale l'uomo potrebbe fruire di una libertà assoluta?

«Quella dell'eremita in un deserto.Fin dal momento in cui ci sono due uomini insieme, essi hanno dei diritti da rispettare e, di conseguenza, non fruiscono più di una libertà assoluta

827. L'obbligo di rispettare i diritti altrui priva l'uomo del diritto di appartenere a sé stesso?

«Assolutamente no, perché è un diritto che possiede per natura.»

828. Come conciliare le opinioni liberali di certi uomini con il dispotismo che essi sovente esercitano nel loro privato e sui loro subordinati?

«Essi hanno l'intelligenza della legge naturale, ma questa intelligenza e controbilanciata dall'orgoglio e dall'egoismo. Quando i loro principi non sono una commedia recitata per calcolo, essi comprendono bene come le cose devono essere, ma non le fanno.»

828a. Si terra conto nell'altra vita dei principi ch'essi hanno professato su questa Terra?

«Più si ha intelligenza per comprendere un principio, meno si è scusati per non averlo applicato a sé stessi. In verità vi dico che l'uomo semplice, ma sincero, e più avanzato sulla strada verso Dio di chi vuol sembrare ciò che non e.»

Schiavitù.

829. Ci sono degli uomini che, per natura, sono destinati a essere proprietà di altri uomini?

«Qualsiasi soggezione assoluta di un uomo a un altro e contraria alla legge di Dio. La schiavitù è un abuso della forza; scompare con il progresso, come scompariranno a poco a poco tutti gli altri abusi.»

La legge umana che consacra la schiavitù è una legge contro natura, perché riduce l'uomo allo stato di bestia e lo degrada moralmente e fisicamente.

830. Quando la schiavitù fa parte dei costumi di un popolo, coloro che ne approfittano sono condannabili dal momento che non fanno che conformarsi a un'usanza che a loro appare naturale?

«Il male è sempre il male. Tutti i vostri sofismi non faranno certo sì che una cattiva azione diventi buona. Ma la responsabilità del male e relativa ai mezzi che si hanno per comprenderlo. Chi trae profitto dalla legge della schiavitù è sempre colpevole di una violazione della legge di natura. Ma in ciò, come in tutte le cose, la colpevolezza è relativa. Essendosi la schiavitù introdotta nei costumi di certi popoli, l'uomo ha potuto approfittarne in buona fede e come di una cosa che a lui sembrava naturale. Però, da quando la sua ragione, più sviluppata e soprattutto illuminata dai lumi del Cristianesimo, gli ha mostrato nello schiavo il suo simile davanti a Dio, egli non ha più attenuanti.»

831. L'ineguaglianza naturale delle attitudini non pone certe razze umane alle dipendenze delle razze più intelligenti?

«Sì, per elevarle, non per abbrutirle ancor di più con la schiavitù. Gli uomini per un tempo troppo lungo hanno considerato gli appartenenti a certe razze umane come animali da fatica, dotati di braccia e di mani. E si sono creduti in diritto di venderli come bestie da soma. Si credevano di un sangue più puro! Insensati, che vedevano solo la materia! Non è il sangue a esser più o meno puro, bensì lo Spirito.» (Vedere nn. 361 e 803.)

832. Ci sono uomini che trattano i loro schiavi umanamente, non fanno loro mancare niente e pensano che la libertà li esporrebbe a maggiori privazioni. C bene dite?

«Io dico che costoro comprendono al meglio i loro interessi. Essi hanno altrettante attenzioni per i loro buoi e i loro cavalli al fine di ricavarne maggior profitto sul mercato. Non sono colpevoli come quelli che maltrattano i loro schiavi, ma non ne dispongono meno che di una mercanzia, privandoli del diritto di appartenersi.»

Libertà di pensiero.

833. Ce qualche cosa, nell'uomo, che sfugga a ogni costrizione e della quale egli possa godere in libertà assoluta?

«È nel pensiero che l'uomo gode di una libertà senza limiti, perché il pensiero non conosce barriere. Se ne può arrestare il corso, ma non annientarlo.»

834. L'uomo è responsabile del suo pensiero?

«Ne è responsabile davanti a Dio. Dio solo può conoscerlo e lo condanna o assolve secondo la Sua giustizia.»

Libertà di coscienza.

835. La libertà di coscienza è una conseguenza della libertà di pensiero?

«La coscienza è un pensiero intimo che appartiene all'uomo, come tutti gli altri pensieri.»

836. L'uomo ha il diritto di porre degli ostacoli alla libertà di coscienza?

«Non più che alla libertà di pensiero. Spetta solo a Dio il diritto di giudicare la coscienza. Se l'uomo regola con le sue leggi i rapporti da uomo a uomo, Dio, con le Sue leggi di natura, regola i rapporti dell'uomo con Dio.»

837. Qual è la conseguenza degli ostacoli posti alla libertà di coscienza?

«Costringere gli uomini ad agire diversamente da come pensano, facendone degli ipocriti. La libertà di coscienza e uno dei caratteri della vera civilizzazione e del progresso.»

838. Ogni credo è rispettabile? Anche quando fosse notoriamente falso?

«Ogni credo e rispettabile quando e sincero e quando conduce alla pratica del bene. I credi condannabili sono quelli che conducono al male.»

839. È biasimevole of fendere nella sua credenza chi crede diversamente da noi?

«È mancare di carità e costituisce una minaccia alla libertà di pensiero.»

840. È attentare alla libertà di coscienza il porre ostacoli a credenze di natura tale da turbare la società?

«Si possono reprimere le manifestazioni, ma il credo intimo e inaccessibile

Reprimere le manifestazioni esteriori di un credo, quando questi atti portano un qualsiasi danno ad altri, non è assolutamente attentare alla libertà di coscienza, perché questa repressione lascia al credo la sua piena libertà.

841. Si deve permettere, in nome della libertà di coscienza, il diffondersi di dottrine perniciose, oppure si può — senza costituire una minaccia a questa libertà — cercare di ricondurre sulla via della verità quelli che sono fuorviati da falsi principi?

«Certamente si può, anzi si deve. Ma insegnate, sull'esempio di Gesù, con la dolcezza e la persuasione. Non usate la forza, cosa che sarebbe peggiore del credo di colui che si vorrebbe convincere. Se c'è qualcosa che è permesso imporre, sono il bene e la fraternita. Ma non crediamo che il mezzo per convincere quegli individui sia l'agire con violenza: il convincimento non si impone.»

842. Avendo ogni dottrina la pretesa di essere l'unica espressione della verità, da quali segni si può riconoscere quella che ha il diritto di porsi come tale?

«Sarà quella che annovera più uomini dabbene e meno ipocriti, ossia quella che pratica la legge d'amore e di carità nella sua più grande purezza e la applica più ampiamente. Da questo segno riconoscerete che una dottrina è buona, perché ogni dottrina, che avesse come effetto quello di seminare la discordia e determinare una divisione fra i figli di Dio, non può essere che falsa e nociva.»

Libero arbitrio.

843. L'uomo possiede il libero arbitrio delle sue azioni?

«Poiché e libero di pensare, e anche libero di agire. Senza il libero arbitrio, l'uomo sarebbe una macchina.»

844. L'uomo fruisce del libero arbitrio fin dalla nascita?

«C’è libertà d'agire dal momento in cui c’è volontà di fare. Nei primi anni di vita la libertà è quasi nulla: essa si evolve e cambia di obiettivo con lo sviluppo delle facoltà. Il bambino, avendo dei pensieri relativi alle necessita della sua età, applica il suo libero arbitrio alle cose che gli sono necessarie.»

845. Le predisposizioni istintive che l'uomo porta con sé alla nascita, non costituiscono forse un ostacolo all'esercizio del libero arbitrio?

«Le predisposizioni istintive sono quelle dello Spirito prima della sua incarnazione. A seconda ch'egli sia più o meno avanzato, queste predisposizioni possono spingerlo ad atti condannabili, ed egli sarà assecondato in questo dagli Spiriti che simpatizzano con queste tendenze. Ma non esistono affatto tentazioni irresistibili quando si ha la volontà di resistervi. Ricordatevi che volere è potere.» (Vedere n. 361.)

846. L'organismo non ha alcuna influenza sulle azioni della vita? E se invece ha un'influenza, non è forse a svantaggio del libero arbitrio?

«Lo Spirito e certamente influenzato dalla materia, che può ostacolarlo nelle sue manifestazioni. Ecco perché, nei mondi dove i corpi sono meno materiali che sulla Terra, le facoltà si sviluppano con maggiore libertà. Ma non è lo strumento che dona le facoltà. D'altronde si devono qui distinguere le facoltà morali da quelle intellettuali. Se un individuo ha l'istinto dell'assassinio, e sicuramente il suo stesso Spirito che lo possiede e che glielo trasmette, ma non i suoi organi. Chi annienta il suo pensiero per occuparsi solo della materia diventa simile al bruto e anche peggiore, perché non pensa piùa premunirsi contro il male. Ed è in ciò che è colpevole, in quanto agisce così di sua volontà.» (Vedere n. 367 e sgg. Influenza dell’Organismo.)

847. L'aberrazione delle facoltà priva l'uomo del libero arbitrio?

«Colui la cui intelligenza e turbata da una qualsiasi causa non è più padrone del proprio pensiero e da quel momento non ha più libertà. Questa aberrazione e sovente una punizione per lo Spirito che, in un'altra esistenza, può essere stato frivolo e orgoglioso e aver fatto un cattivo uso delle sue facoltà. Egli può rinascere nel corpo di un menomato mentale, così come il despota nel corpo di uno schiavo, e il ricco malvagio in quello di un mendicante. Ma lo Spirito soffre di questa costrizione di cui ha perfetta coscienza. E d è questa l'azione della materia.» (Vedere n. 371 e sgg.)

848. L'aberrazione delle facoltà intellettuali per ubriachezza scusa gli atti deplorevoli?

«No, perché l'ubriaco si è volontariamente privato della sua ragione per soddisfare delle passioni brutali. Anziché commettere un errore, ne commette due.»

849. Qual è, nell'uomo allo stato selvaggio, la facoltà dominante: l'istinto o il libero arbitrio?

«È l'istinto, che in certe circostanze non impedisce all'uomo di agire in piena libertà. Ma, come il bambino, egli applica alle sue necessità questa libertà, la quale si evolve con l'intelligenza. Di conseguenza, voi che siete più illuminati di un primitivo, siete anche più responsabili riguardo a ciò che fate di un primitivo.»

850. La posizione sociale non è a volte un ostacolo alla piena libertà delle azioni?

«Il mondo ha senza dubbio le sue esigenze. Dio è giusto e tiene conto di tutto, ma vi lascia la responsabilità di quel po' di sforzi che fate per sormontare gli ostacoli.»

Fatalità.

851. Può esserci fatalità negli avvenimenti della vita, secondo il significato attribuito a questo termine? Ossia, tutti gli avvenimenti sono predeterminati? E, in questo caso, che ne è del libero arbitrio?

«La fatalità esiste solo riguardo alla scelta che ha fatto lo Spirito, incarnandosi, di subire questa o quella prova. Scegliendola, egli si crea una sorta di destino, che è la conseguenza stessa della posizione in cui si trova collocato. Parlo delle prove fisiche, perché per quanto riguarda le prove morali e le tentazioni, lo Spirito, conservando il suo libero arbitrio sul bene e sul male, e sempre padrone di cedere o di resistere. Uno Spirito buono, vedendolo indebolirsi, può andare in suo aiuto, ma non può influire su di lui in modo tale da dominare la sua volontà. Uno Spirito cattivo, ossia inferiore, mostrandogli un pericolo fisico ed esagerandoglielo, può impressionarlo e spaventarlo. Ma la volontà dello Spirito incarnato non resta per questo meno libera da ogni ostacolo.»

852. Ci sono uomini che la fatalità sembra perseguitare, indipendentemente dal loro modo di agire. La sfortuna è forse nel loro destino?

«Sono forse delle prove che devono subire e che essi hanno scelto. Ma ancora una volta voi attribuite al destino ciò che il più delle volte non è che la conseguenza di un vostro stesso errore. Nei mali che vi affliggono, fate in modo che la coscienza sia pura, e sarete quasi consolati.»

Le idee, giuste o false, che noi ci facciamo delle cose, ci fanno riuscire o fallire secondo il nostro carattere e la nostra posizione sociale. Troviamo più semplice e meno umiliante per il nostro amor proprio, attribuire i nostri fallimenti alla sorte o al destino piuttosto che ai nostri stessi errori. Se l'influenza degli Spiriti qualche volta vi contribuisce, possiamo sempre sottrarci a questa influenza respingendo le idee che essi ci suggeriscono, quando queste non sono buone.

853. Certe persone sfuggono a un pericolo mortale solo per cadere in un altro. Sembra che non possano sottrarsi alla morte. C’è fatalità in questo?

«C’è fatalità, nel vero senso del termine, solo al momento della morte. Quando questo momento e arrivato, che sia in un modo o in un altro, voi non potrete sfuggirvi.»

853a. Pertanto, qualunque sia il pericolo che ci minaccia, non morremo se la nostra ora non è arrivata?

«No, non morrete e ne avete migliaia di esempi. Ma quando la vostra ora di partire e arrivata, niente può salvarvi. Dio conosce in anticipo attraverso quale genere di morte partirete da qui, e sovente anche lo Spirito lo sa, perché gli viene rivelato quando fa la scelta di questa o quella esistenza.»

854. Dall'in fallibilità dell'ora della morte ne consegue allora che le precauzioni, che si prendono per evitarla, sono inutili?

«No, perché le precauzioni che voi prendete vi vengono suggerite affinché evitiate la morte che vi sta minacciando. Quelle precauzioni sono dei modi perché essa non avvenga.»

855. Qual è lo scopo della Provvidenza nel farci correre dei pericoli che non devono aver seguito?

«Quando la vostra vita è messa in pericolo, e un avvertimento che voi stessi avete auspicato al fine di distogliervi dal male e rendervi migliori. Quando sfuggite a questo pericolo, ancora sotto l'influsso del rischio che avete corso voi pensate, più o meno seriamente, secondo l'azione più o meno forte dei buoni Spiriti, di diventare migliori. Tornando il cattivo Spirito a tentarvi (dico cattivo, sottintendendo il male che è ancora in lui), voi pensate che sfuggirete anche ad altri pericolie lasciate di nuovo che le vostre passioni si scatenino. Per mezzo dei pericoli che correte, Dio vi ricorda la debolezza e la fragilità della vostra esistenza. Se si esamina la causa e la natura del pericolo, si vedrà che, il più delle volte, le conseguenze sarebbero state la punizione per un errore commesso o per un dovere trascurato. Dio vi avverte così di rientrare in voi stessi e di correggervi.» (Vedere nn. 526–532.)

856. Lo Spirito conosce in anticipo il genere di morte a cui deve soccombere?

«Egli sa che il genere di vita che ha scelto lo porta a morire in un modo piuttosto che in un altro. Ma conosce anche le lotte che dovrà sostenere per evitarla e, se Dio lo permette, non soccomberà.»

857. Ci sono uomini che affrontano i pericoli dei combattimenti convinti che la loro ora non è ancora giunta. Ce qualcosa di fondato in questa convinzione?

«Assai frequentemente l'uomo ha il presentimento della sua fine, così come può avere quello secondo cui ancora non morirà. Questo presentimento gli viene dai suoi Spiriti protettori che vogliono avvertirlo di tenersi pronto ad andarsene o ne stimolano il coraggio nel momento in cui gli è più necessario. Gli può venire anche dall'intuizione ch'egli ha dell'esistenza che ha scelto, o della missione che ha accettato e che sa di dover compiere.), (Vedere nn. 411–522)

858. A che cosa è dovuto il fatto per cui quanti hanno ii presentimento della morte la temono generalmente meno degli altri?

«È l'uomo che teme la morte, non lo Spirito. Chi la presagisce pensa più come Spirito che come uomo: egli comprende la sua liberazione e attende.»

859. Se la morte non può essere evitata quando deve avvenire, la stessa cosa avviene per tutte le disgrazie che ci succedono nel corso della vita?

«Sono sovente dei fatti assai insignificanti perché uno Spirito ve ne possa avvertire. A volte pero uno Spirito può fare in modo che li evitiate orientando il vostro pensiero, perché noi Spiriti detestiamo le sofferenze materiali. Ma ciò è poco importante per la vita che avete scelto. La fatalità consiste veramente solo riguardo al momento in cui dovete nascere o morire su questa Terra.»

859a. Ci sono dei fatti che, inevitabilmente, devono accadere e che la volontà degli Spiriti non può scongiurare?

«Sì. Ma li avete visti e presentiti nello stato di Spirito, quando avete fatto la vostra scelta. Tuttavia non crediate che tutto ciò che succede stia scritto, come si dice. Un avvenimento e sovente la conseguenza di una cosa che avete fatto attraverso un atto della vostra libera volontà. Dimodoché, se voi non aveste fatto questa cosa, l'avvenimento non sarebbe potuto accadere. Se vi bruciate un dito, questo nonè niente. È la conseguenza della vostra imprudenza e della materia. Sono solo i grandi dolori, gli avvenimenti importanti e quelli che possono influire sul morale che sono previsti da Dio, in quanto utili alla vostra purificazione e istruzione.»

860. L'uomo, con la sua volontà e i suoi atti, può fare in modo che gli avvenimenti che dovrebbero accadere non accadano, e viceversa?

«Lo può, se questa deviazione apparente può rientrare nell'ordine generale della vita ch'egli ha scelto. Inoltre, per fare il bene come dev'essere fatto, ed essendo il solo scopo della vita, egli può impedire il male, soprattutto quel male che potrebbe contribuire a un male più grande.»

861. L'uomo che commette un omicidio sa, scegliendo la sua esistenza, che diventerà un assassino?

«No. Sa che, scegliendo una vita di lotta, esiste per lui la possibilità di uccidere uno dei suoi simili, ma non sa se lo farà, perché c’è quasi sempre in lui l'intenzione prima di commettere il crimine. Pertanto chi delibera su una cosa e sempre libero di farla o di non farla. Se lo Spirito sapesse in anticipo che, come uomo, dovrà commettere un assassinio, vorrebbe dire che vi sarebbe predestinato. Sappiate dunque che nessuno e predestinato al crimine, e che ogni crimine o atto qualsiasi è sempre un fatto della volontà e del libero arbitrio.

Del resto si confondono sempre due cose ben distinte: gli avvenimenti materiali della vita e gli atti della vita morale. Se a volte c’è fatalità, essa e negli avvenimenti materiali, la cui causa si trova al di fuori di voi e che sono indipendenti dalla vostra volontà. Quanto agli atti della vita morale, essi provengono sempre dall'uomo stesso, che ha sempre di conseguenza la libertà di scelta. Dunque, per questi atti, non c’è mai fatalità.»

862. Ci sono persone cui niente va bene e che un genio perverso sembra perseguitare in tutte le loro imprese. Non è forse questo che si può chiamare fatalità?

«È proprio fatalità, se così volete chiamarla. Ma essa riguarda le scelte di genere esistenziale, perché queste persone hanno voluto essere provate da una vita di delusioni al fine di esercitare la loro pazienza e la loro rassegnazione. Ciononostante non crediate che questa fatalità sia assoluta. Essa è sovente il risultato della falsa strada che esse hanno preso e che non è in alcun rapporto con la loro intelligenza e le loro attitudini. Chi vuole attraversare un fiume a nuoto senza saper nuotare ha molte probabilità di annegare. Lo stesso è per la maggior parte degli avvenimenti della vita. Se l'uomo intraprendesse solo cose adatte alle sue capacita, quasi sempre ce la farebbe. Ciò che lo perde sono il suo amor proprio e la sua ambizione, che lo inducono a uscire dalla sua strada e a scambiare per vocazione il desiderio di soddisfare certe passioni. Fallisce, e la colpa e sua. Ma, anziché prendersela con sé stesso, preferisce accusare la sua stella. Chi sarà un cattivo poeta e morirà di fame sarebbe divenuto un buon operaio e si sarebbe guadagnato onestamente la vita. Ci sarebbe posto per tutti se ognuno sapesse mettersi al proprio posto.»

863. I costumi sociali non obbligano forse sovente l'uomo a seguire la tale via piuttosto che la tal altra? L'uomo non è forse sottoposto al controllo dell'opinione pubblica nella scelta delle sue occupazioni? Ciò che si chiama rispetto umano non è forse un ostacolo all’esercizio del libero arbitrio?

«Sono gli uomini che fanno i costumi sociali e non Dio. Se essi vi si sottomettono, vuol dire che a loro conviene, e anche questo e un atto di libero arbitrio, perché se volessero potrebbero affrancarsene. Allora perché lamentarsi? Non sono i costumi sociali che essi devono accusare, ma il loro sciocco amor proprio che fa loro preferire morire di fame piuttosto che abbassarsi. Nessuno tiene conto di questo loro sacrificio fatto in nome dell'opinione pubblica, mentre Dio terra conto del sacrificio fatto in nome della loro vanita. Questo non vuol dire che si debba sfidare l'opinione pubblica insensatamente, come fanno certuni che hanno più bizzarria che vera filosofia. C’è tanto di ridicolo nel farsi segnare a dito o nel farsi guardare come una bestia rara, quanto c’è di saggio nel discendere volontariamente e senza rumore, quando non ci si può mantenere in cima alla scala.»

864. Ci sono persone alle quali la sorte è avversa, mentre altre sembrano essere favorite, perché tutto va loro bene. A che cosa sì deve ciò?

«Sovente questo accade perché taluni ci sanno fare. Ma può anche essere un genere di prova. Il successo li ubriaca, si affidano al loro destino e, frequentemente, più tardi pagano questi stessi successi con crudeli fallimenti, che avrebbero potuto evitare con la prudenza.»

865. Come spiegare la fortuna che favorisce certe persone in circostanze in cui né la volontà né l'intelligenza hanno niente a che vedere? Per esempio al gioco?

«Alcuni Spiriti hanno scelto in anticipo certi tipi di piacere. La fortuna che li favorisce e una tentazione. Colui che guadagna come uomo perde come Spirito: e una prova perii suo orgoglio e la sua cupidigia.»

866. La fatalità, che sembra governare i destini materiali della nostra vita, sarebbe dunque ancora un effetto del nostro libero arbitrio?

«Anche voi avete scelto la vostra prova. Più essa è dura e meglio la sopportate, più vi elevate. Chi trascorre la vita nell'abbondanza e nelle gioie umane e uno Spirito debole che rimane stazionario. Così il numero degli sfortunati è di gran lunga preponderante rispetto al numero dei fortunati di questo mondo, ammesso che gli Spiriti cerchino per la maggior parte la prova che sarà loro più profittevole. Essi vedono troppo bene la futilità dei vostri fasti e dei vostri piaceri. D'altra parte la vita più felice è sempre agitata, sempre inquieta, non foss'altro che per la mancanza del dolore.» (Vedere n. 525 e sgg.)

867. Da dove viene l'espressione "essere nato sotto una buona stella'?

«È una vecchia superstizione che collegava le stelle al destino di ciascun uomo, un'allegoria che certuni hanno la stoltezza di prendere alla lettera.»

Conoscenza del futuro.

868. Può il futuro essere rivelato all'uomo?

«Il futuro, in linea di massima, gli è nascosto, ed e solo in casi rari ed eccezionali che Di one permette la rivelazione.»

869. Per quale scopo l'avvenire viene nascosto all'uomo?

«Se l'uomo conoscesse il futuro, trascurerebbe il presente e non agirebbe con la stessa libertà, perché sarebbe dominato dal pensiero che, se una cosa deve accadere, non c’è bisogno di occuparsene oppure cercherebbe di contrastarla. Dio non ha voluto che fosse così, affinché ognuno potesse concorrere al compimento delle cose stabilite, anche di quelle alle quali vorrebbe opporsi. Così voi stessi predisponete, sovente senza sospettarlo, gli avvenimenti che succederanno nel corso della vostra vita.»

870. Dal momento che è utile che il futuro venga nascosto, perché qualche volta Dio ne permette la rivelazione?

«È quando questa preveggenza deve facilitare il compimento di qualcosa invece di avversarlo, impegnando l'uomo ad agire diversamente da come avrebbe fatto senza quella preveggenza. E, inoltre, sovente è una prova. La prospettiva di un avvenimento può risvegliare pensieri più o meno buoni. Se l'uomo dovesse sapere, per esempio, che riceverà un’eredità sulla quale non contava, potrebbe venire sollecitato dal sentimento della cupidigia, dal piacere di aumentare le sue soddisfazioni terrene, dal desiderio di possedere al più presto quella fortuna, magari augurandosi la morte di colui che deve lasciargliela. Oppure questa prospettiva potrà risvegliare in lui dei buoni sentimenti e dei pensieri generosi. Se la predizione non si compie, è un'altra prova: quella del modo in cui egli sopporterà la delusione. Ma non avrà meno merito o demerito dei pensieri buoni o cattivi che il credere all'avvenimento ha fatto nascere in lui.»

871. Poiché Dio sa tutto, egualmente sa se un uomo deve soccombere, oppure no, a una prova. Qual è allora la necessità di questa prova, dal momento che l'uomo non può dimostrare a Dio niente ch’Egli già non sappia sul suo conto?

«Tanto varrebbe domandarsi perché Dio non abbia creato l'uomo perfetto e realizzato (vedere n. 119), e perché l'uomo debba passare attraverso l'infanzia prima di arrivare all'età adulta (vedere n. 379). La prova non ha lo scopo di illuminare Dio sui meriti di un uomo, perché Dio sa perfettamente quanto egli vale; ma ha lo scopo di lasciare a quest'uomo tutta la responsabilità della sua azione, dal momento che è libero di agire o non agire. Potendo l'uomo scegliere fra il bene e il male, la prova ha per effetto di metterlo alle prese con la tentazione del male e di lasciare a lui tutto il merito della resistenza. Ora, benché Dio sappia molto bene e in anticipo se riuscirà o no, non può, nella Sua giustizia, né punirlo né ricompensarlo per un atto che non ha compiuto.» (Vedere n. 258.)

Così è fra gli uomini. Per quanto un candidato possa essere capace, e per quanto si abbia qualsiasi certezza di vederlo riuscire, non gli si conferisce alcun grado senza esame, ossia senza prova. Egualmente il giudice condanna un accusato solo in base a un atto compiuto e non sulla previsione che egli possa o debba compiere questo atto.

Più si riflette sulle conseguenze che risulterebbero per l'uomo dalla conoscenza del futuro, più ci si rende conto di come la Provvidenza sia stata saggia nel nascondergliela. La certezza di un avvenimento felice lo farebbe cadere nell'inerzia, quella di un avvenimento infelice, nello scoraggiamento. Nell'uno e nell'altro caso le sue forze rimarrebbero paralizzate. Ecco perché il futuro viene mostrato all'uomo solo come fine cui egli deve tendere con i suoi sforzi, ma senza conoscere le fila attraverso le quali deve passare per raggiungerlo. La conoscenza di tutti gli incidenti di percorso gli toglierebbe l'iniziativa e l'uso del libero arbitrio. Si lascerebbe travolgere dalla china fatale degli avvenimenti, senza esercitare le sue facoltà. Quando il successo di una cosa e assicurato, non ci se ne preoccupa più.


Riassunto teorico del movente delle azioni dell'uomo.

872. La questione del libero arbitrio può riassumersi come segue.

L'uomo non è affatto portato fatalmente al male. Le azioni che compie non sono affatto scritte in precedenza, e i crimini che commette non avvengono affatto a causa di una sentenza del destino. L'uomo può, come prova e come espiazione, scegliere un'esistenza in cui avrà degli impulsi criminali, sia a causa dell'ambiente sociale in cui si trova, sia a causa delle circostanze che si verificano, ma e sempre libero di agire o di non agire. Pertanto il libero arbitrio esiste: allo stato di Spirito, nella scelta dell'esistenza e delle prove; allo stato fisico, nella facoltà di cedere o di opporsi agli impulsi ai quali ci siamo volontariamente sottoposti. È l'educazione che deve combattere queste cattive tendenze. Essa lo farà utilmente quando sarà basata sullo studio approfondito della natura morale dell'uomo. Attraverso la conoscenza delle leggi che reggono questa natura morale, si arriverà a modificarla, così come si modifica l'intelligenza attraverso l'istruzione, e il temperamento attraverso l'igiene.

Lo Spirito, liberato della materia e in stato errante, fauna scelta delle sue esistenze corporee future secondo il grado di perfezione al quale e pervenuto, ed e in ciò, come abbiamo già detto, che consiste soprattutto il suo libero arbitrio. Questa libertà non viene assolutamente annullata dall'incarnazione. Se l'uomo cede all'influenza della materia, vuol dire che soccombe alle prove stesse che ha scelto. È per essere aiutato a superarle che può invocare l'assistenza di Dio e dei buoni Spiriti. (Vedere n. 337)

Senza il libero arbitrio, l'uomo non avrebbe ne demerito nel male, né merito nel bene. E ciò è talmente evidente che nel nostro mondo il biasimo o l'elogio si mettono sempre in relazione all'intenzione, ossia alla volontà. Pertanto, chi dice volontà dice libertà. L'uomo non potrebbe dunque cercare una scusa ai suoi misfatti nel suo organismo, senza rinnegare la sua ragione e la sua condizione di essere umano, rendendosi quindi simile al bruto. Se così fosse per il male, altrettanto dovrebbe esserlo per il bene. Però, quando l'uomo fa del bene, si preoccupa molto di farsene un merito, e si guarda bene dal gratificarne i suoi organi, la qual cosa dimostra che istintivamente egli non rinuncia mai, nonostante le congetture di qualche scienza sistematica, al più bello dei privilegi della sua specie: la libertà di pensiero.

La fatalità, così come la s'intende generalmente, suppone la determinazione presciente e irrevocabile di tutti gli avvenimenti della vita, qualunque sia la loro importanza. Se tale fosse l'ordine delle cose, l'uomo sarebbe una macchina senza volontà. A che cosa gli servirebbe la sua intelligenza, dal momento che sarebbe costantemente dominato in tutti i suoi atti dalla forza del destino? Una tale dottrina, se fosse vera, sarebbe l'annullamento di ogni libertà morale. Non ci sarebbe più per l'uomo alcuna responsabilità e, di conseguenza, non ci sarebbero né bene né male né crimini né virtù. Dio, sovranamente giusto, non potrebbe castigare una sua creatura per degli errori che non sarebbe dipeso da lei commettere o non commettere, ne potrebbe ricompensarla per delle virtù di cui non avrebbe alcun merito. Una tale legge sarebbe inoltre la negazione della legge del progresso, perché l'uomo che si attendesse tutto dalla sorte non tenterebbe minimamente di migliorare la sua posizione, dal momento che non potrebbe cambiarla né in meglio né in peggio.

Però la fatalità non è una parola vana. Essa esiste nella posizione che l'uomo occupa sulla Terra e nelle funzioni che vi compie, in conseguenza del genere di esistenza scelto dal suo Spirito come prova, espiazione o missione. Egli subisce fatalmente tutte le vicissitudini di questa esistenza e tutte le tendenze buone o cattive a essa inerenti. Ma lì si ferma la fatalità, perché dipende dalla volontà dell'uomo cedere o non cedere a queste tendenze. Il dettaglio degli avvenimenti è subordinato alle circostanze che provoca lui stesso con le sue azioni, e sulle quali gli Spiriti possono influire attraverso i pensieri che gli suggeriscono. (Vedere n. 459.)

La fatalista sta dunque negli avvenimenti che si presentano, perché essi sono la conseguenza della scelta dell'esistenza fatta dallo Spirito. Può non esserci nell'esito di questi avvenimenti, perché può dipendere dall'uomo modificarne il corso con la sua prudenza. Non c'è mai fatalità negli atti della vita morale.

È nella morte che l'uomo e sottomesso, in modo assoluto, all'inesorabile legge della fatalità. Egli infatti non può sottrarsi alla sentenza che fissa il termine della sua esistenza, né al genere di morte che deve interrompere il corso della sua vita.

Secondo la dottrina volgare, l'uomo attingerebbe tutti i suoi istinti in sé stesso. Essi procederebbero sia dal suo organismo, — e pertanto non ne sarebbe responsabile — sia dalla sua stessa natura, nella quale può cercare una giustificazione ai suoi stessi occhi, asserendo che non è colpa sua s e è fatto così. La Dottrina Spiritista e in modo evidente più morale. Essa ammette nell'uomo il libero arbitrio in tutta la sua completezza. E dicendogli che, se commette il male cede a una cattiva ed estranea suggestione, gliene lascia tutta la responsabilità, poiché gli riconosce il potere di resistere, cosa evidentemente più facile che se dovesse lottare contro la sua stessa natura. Così, secondo la Dottrina Spiritista, non ci sono impulsi irrefrenabili: l'uomo può sempre chiudere le orecchie alla voce occulta che nel suo intimo lo sollecita al male, come può chiuderle alla voce materiale di qualcuno che gli parla. Lo può fare di sua volontà, domandando a Dio la forza necessaria e chiedendo a questo scopo l'assistenza dei buoni Spiriti. È ciò che Gesù ci insegna nella sublime Orazione domenicale, quando ci fa dire: «Non c'indurre in tentazione, ma liberaci dal male.»

Questa teoria della causa determinante dei nostri atti risulta evidente da tutto l'insegnamento dato dagli Spiriti. Non solo essa è sublime in quanto a moralità, ma aggiungeremo ch'essa rivela l'uomo ai suoi stessi occhi; lo mostra libero di scuotere un giogo che lo ossessiona, così come è libero di chiudere la sua casa agli importuni. Non è più una macchina che agisce per un impulso indipendente dalla sua volontà, e un essere dotato di ragione, che ascolta, giudica e sceglie liberamente fra due partiti. Aggiungiamo ancora che, malgrado ciò, l'uomo non è affatto privato della sua iniziativa, non cessa di agire secondo i suoi impulsi, perché in definitiva non è che uno Spirito incarnato, il quale conserva, sotto l'involucro del corpo, le qualità e i difetti che aveva come Spirito. Gli errori che commettiamo hanno dunque la loro origine primitiva nell'imperfezione del nostro stesso Spirito, che non ha ancora raggiunto la superiorità morale che avrà un giorno, ma che non per questo il suo libero arbitrio ha dei limiti. La vita fisica gli viene data per purificarsi delle sue imperfezioni attraverso le prove che subisce, e sono precisamente queste imperfezioni che lo rendono più debole e più accessibile alle suggestioni degli Spiriti imperfetti. Costoro, a loro volta, ne approfittano per cercare di farlo soccombere nella lotta che egli ha intrapreso. Se esce vincitore da questa battaglia, si eleva. Se soccombe, rimane quello che era, ne peggiore, ne migliore: è una prova che dovrà essere ricominciata e che potrà così durare a lungo. Più si purifica, più i suoi lati deboli diminuiscono e meno dà adito a chi lo sollecita al male. La sua forza morale cresce in ragione della sua elevatezza, e i cattivi Spiriti si allontanano da lui.

Tutti gli Spiriti più o meno buoni, quando si incarnano, costituiscono la specie umana. Poiché la nostra Terra e uno dei mondi meno avanzati, in essa si trovano più Spiriti cattivi che Spiriti buoni. Ecco perché qui vediamo tante perversioni. Compiamo dunque tutti i nostri sforzi per non ritornarci dopo questa stazione, e per meritarci di andare a riposare in un mondo migliore, in uno di quei mondi privilegiati dove il bene regna assoluto, e dove ci ricorderemo del nostro passaggio su questa Terra solo come di un tempo d'esilio.