1. Noi viviamo, pensiamo e
agiamo; ecco ciò che è positivo. E che fioriremo non è meno certo. Ma,
lasciando la Terra, dove andiamo? Che cosa diventiamo dopo la morte?
Staremo meglio o peggio? Esisteremo o non esisteremo? Essere o non essere
questa l'alternativa. O sempre o mai. O tutto o niente: o vivremo
eternamente o tutto sarà finito per sempre. Su tutto ciò sarà bene
riflettere.
Ogni uomo sperimenta la necessità di vivere, di
gioire, di amare, di essere felice. Provate a dire a uno, che sappia di
essere sul punto di morire, che vivrà ancora, che la sua ora non è
ancora scoccata; ma ditegli, soprattutto, ch'egli sarà più felice di
quanto sia mai stato, e il suo cuore allora palpiterà di gioia.
Ma a che servirebbero queste aspirazioni di felicità se un soffio potrebbe farle svanire?
C'è forse qualcosa di più desolante di questo pensiero della
distruzione assoluta? Affetti cari, intelligenza, progresso, scienza
laboriosamente acquisita, tutto sarebbe annientato, tutto andrebbe
perduto! Quale necessità ci sarebbe di sforzarci a divenire migliori,
quale necessità ci costringerebbe a reprimere le nostre passioni, ad
affaticarci, per elevare il nostro spirito, se non dobbiamo raccoglierne
alcun frutto, soprattutto con questo pensiero per cui domani, forse,
ciò non servirà più a niente? Se così fosse, la sorte dell'uomo sarebbe
cento volte peggiore di quella del bruto, perché il bruto vive
completamente nel presente, nella soddisfazione dei suoi appetiti
materiali, senza alcuna aspirazione per il futuro. Una segreta
intuizione ci dice però che ciò non è possibile.