IL VANGELO SECONDO LO SPIRITISMO

Allan Kardec

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Capitolo XXIII - STRANA MORALE

Chi non odia suo padre e sua madre — Abbandonare il proprio padre, la propria madre e i propri figli —
Lascia che i morti seppelliscano i loro morti — Non sono venuto a metter pace, ma spada.



Chi non odia suo padre e sua madre


1. Or molta gente andava con lui; ed egli, rivolto verso la folla, disse:

«Se uno viene a me e non odia suo padre, sua madre, e la moglie, i fratelli, le sorelle e persino la sua propria vita, non può essere mio discepolo. E chi non porta la sua croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo». (...) «Così dunque ognuno di voi che non rinunzia a tutto quello che ha, non può essere mio discepolo». (Luca 14:25-27, 33)

2. «Chi ama padre o madre più di me, non è degno di me; e chi ama figlio o figlia più di me, non è degno di me.» (Matteo 10:37)

3. Certe parole, molto rare del resto, suonano così strane sulla bocca di Gesù, che istintivamente se ne rifiuta il senso letterale, ma la magnificenza della Sua dottrina non ne subisce alcun danno. Scritti dopo la morte — poiché nessuno dei Vangeli è stato scritto quando Gesù era in vita — possiamo credere che, in questo caso la sostanza del Suo pensiero non è stata ben resa o, cosa non meno probabile, il significato originario ha potuto subire delle alterazioni passando da un idioma all'altro. È sufficiente che un errore sia stato fatto all'inizio, perché esso si ripeta nelle edizioni successive, come si osserva molto spesso nei fatti riguardanti la Storia.

Il verbo odiare, nella frase di san Luca: «Se uno viene a me e non odia suo padre e sua madre», rientra in questo caso. Non c'è nessuno che abbia pensato di attribuirlo a Gesù. Sarebbe dunque superfluo discuterne e ancor meno cercare di giustificarlo. Bisognerebbe prima sapere se l'ha pronunciato e, in caso affermativo, sapere se, nella lingua in cui si esprimeva, questo termine avesse la stessa valenza che ha nella nostra. In questo passaggio di san Giovanni: «Chi odia la sua vita in questo mondo la conserva per la vita eterna», è certo che non esprime l'idea che noi le attribuiamo.

La lingua ebraica non era ricca e aveva molte parole con più significati. Tale è il caso, per esempio, della parola che nella Genesi designa le fasi della creazione e serviva allo stesso tempo per esprimere sia un periodo di tempo qualsiasi sia la rivoluzione diurna. Da ciò, più tardi, la sua traduzione con la parola giorno e la credenza che il mondo fosse stato creato in sei giorni, ossia sei volte ventiquattro ore. Tale è ancora il caso delle parole cammello e corda, perché le corde erano fatte con peli di cammello, e che è stata tradotta con cammello nell'allegoria della cruna dell'ago (vedere cap. XVI, n. 2 di quest'opera).[1]

D'altra parte bisogna considerare anche i costumi e il carattere di un popolo, che influiscono sulla natura particolare della sua lingua. Senza questa conoscenza, il senso vero di certe parole sfugge. Da una lingua all'altra, la stessa parola può avere una maggiore o minore efficacia, può essere ingiuriosa o blasfema nell'una e insignificante nell'altra, secondo l'idea che le si attribuisce. Nella stessa lingua, poi, certe parole perdono il loro valore a qualche secolo di distanza. Per questo una traduzione rigorosamente letterale non sempre rende perfettamente il pensiero e, affinché sia fedele, bisogna a volte impiegare non il termine corrispondente, ma delle parole equivalenti o delle perifrasi.

Queste osservazioni trovano un'applicazione speciale soprattutto nell'interpretazione delle Sacre Scritture e dei Vangeli in particolare. Se non si tiene conto del contesto nel quale viveva Gesù, si è esposti al fraintendimento del valore di certe espressioni e di certi fatti, a causa dell'abitudine che si ha di rapportare gli altri a se stessi. Stando così le cose, bisogna dunque privare la parola odiare dell'accezione moderna, essendo contraria allo spirito dell'insegnamento di Gesù (vedere anche cap. XIV, n. 5 e segg., di quest'opera).

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[1] Non odit in latino e Kaï o miseï in greco non vuol dire odia, ma ama meno. Ciò che esprime il verbo greco miseïn è espresso ancor meglio dal verbo ebraico, del quale dev'essersi servito Gesù. Non significa solamente odiare, ma amare meno, non amare tanto quanto, tanto come un altro. Nel dialetto siriano che, a quanto pare, Gesù usava più frequentemente, questo significato è ancora più accentuato. È in questo senso che è stato usato nella Genesi (29:30-31): «E Giacobbe amò Rachele più di Lea, (...) e il Signore vedendo che Lea era odiata...» È evidente che il vero significato è meno amata, ed è così che bisogna tradurre. In molti altri passaggi ebraici, e soprattutto siriani, lo stesso verbo viene impiegato nel senso di non amare tanto quanto un altro, e sarebbe un controsenso tradurre con odiare, che ha un'altra e ben precisa accezione. Il testo di san Matteo, d'altra parte, elimina ogni difficoltà. (Nota di M. A. Pezzani)


Abbandonare il proprio padre, la propria madre e i propri figli


4. «E chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi a causa del mio nome, ne riceverà cento volte tanto, ed erediterà la vita eterna.» (Matteo 19:29)

5. Pietro disse: «Ecco, noi abbiamo lasciato le nostre cose e ti abbiamo seguito». Ed egli disse loro: «Vi dico in verità che non c'è nessuno che abbia lasciato casa, o moglie, o fratelli, o genitori, o figli per amor del regno di Dio, il quale non ne riceva molte volte tanto in questo tempo, e nell'età futura la vita eterna». (Luca 18:28-30)

6. Un altro ancora gli disse: «Ti seguirò, Signore, ma lasciami prima salutare quelli di casa mia». Ma Gesù gli disse: «Nessuno che abbia messo la mano all'aratro e poi volga lo sguardo indietro, è adatto per il regno di Dio" (Luca 9:61-62)

Senza discutere le parole, qui si tratta di scoprire il concetto, che è evidentemente questo: "Gli interessi della vita futura stanno al di sopra di tutti gli interessi e di tutte le considerazioni umane", perché il concetto della vita futura è in accordo con il fondamento della dottrina di Gesù, mentre l'idea di una rinuncia alla propria famiglia ne sarebbe la negazione.

D'altra parte non abbiamo noi forse sotto gli occhi l'applicazione di queste massime nel sacrificio degli interessi e degli affetti familiari a favore della patria? Si biasima forse un figlio che lascia il padre, la madre, i fratelli, la moglie, i figli, per andare a difendere il proprio paese? Non gli si rende, al contrario, merito per essersi lasciato strappare dal focolare domestico, dall'abbraccio degli amici, per compiere un sacrosanto dovere? Ci sono dunque doveri al di sopra di altri. La legge non fa forse obbligo alla figlia di lasciare i suoi genitori per seguire suo marito? Nel mondo sono infiniti i casi in cui le separazioni più penose sono inevitabili. Ma non per questo gli affetti si spezzano. La lontananza non diminuisce né il rispetto né la dovuta sollecitudine verso i propri genitori né la tenerezza per i propri figli. Si vede dunque che, anche se prese alla lettera, salvo la parola odiare, queste parole non sarebbero la negazione né del comandamentoche prescrive di onorare il padre e la madre, né del sentimento di tenerezza paterna. Ciò, a maggior ragione, se se ne considera lo spirito. La finalità di queste espressioni era di mostrare, con un'iperbole, quanto è imperioso il dovere di preoccuparsi della vita futura.

Esse dovevano d'altra parte essere meno scioccanti presso un popolo e in un'epoca in cui, secondo quei costumi, i legami familiari erano meno sentiti che in una civiltà moralmente più avanzata. Questi legami, più deboli presso i popoli primitivi, si fortificano con lo svilupparsi della sensibilità e del senso morale. La separazione stessa è necessaria al progresso. E ciò riguarda le famiglie come le razze, che si imbastardiscono se non ci sono degli incroci, se non si inseriscono le une nelle altre. È una legge di natura, tanto nell'interesse del progresso morale quanto in quello del progresso psichico.

Le cose non sono qui esaminate che dal punto di vista terreno. Lo Spiritismo ce le fa vedere più dall'alto, mostrandoci che i veri legami affettivi sono quelli dello Spirito e non quelli fisici, che questi legami non vengono spezzati né dalla separazione né dalla morte del corpo e che essi si fortificano nella vita spirituale con la purificazione dello Spirito. Verità consolante, questa, che dà una grande forza per sopportare le vicissitudini della vita (vedere anche il cap. IV, n. 18 e il cap. XIV, n. 18 di quest'opera).


Lascia che i morti seppelliscano i loro morti


7. A un altro disse: «Seguimi». Ed egli rispose: «Permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Ma Gesù gli disse: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; ma tu va' ad annunziare il regno di Dio». (Luca 9:59-60)

8. Che cosa possono significare le parole «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti»? Le considerazioni precedenti dimostrano innanzitutto che, nella circostanza in cui sono state pronunciate, esse non possono esprimere un rimprovero nei riguardi di colui che riteneva un dovere di pietà filiale andare a seppellire il proprio padre. Esse racchiudono, invece, un significato profondo che solo una conoscenza più completa della vita spirituale poteva far comprendere.

La vita spirituale, in effetti, è la vera vita, è la vita normale dello Spirito. L'esistenza terrena è solo transitoria e passeggera, una specie di morte, se paragonata allo splendore e all'attività della vita spirituale. Il corpo è solo un abito grossolano che riveste temporaneamente lo Spirito, una vera catena che lo blocca alle zolle della Terra e di cui è felice di liberarsi. Il rispetto che si ha per i morti non si riferisce alla materia, ma, attraverso il ricordo, allo Spirito assente. Esso è analogo a quello che si ha per gli oggetti appartenuti al morto, che egli ha toccato, e che quanti a lui affezionati custodiscono come reliquie. E quello che costui non poteva comprendere da solo, Gesù glielo insegna dicendogli: «Non preoccuparti del corpo, ma prenditi cura piuttosto dello Spirito. Va' e insegna il Regno di Dio, va' e di' agli uomini che la loro patria non è sulla Terra, ma in Cielo, perché solo là si trova la vera vita».

Non sono venuto a metter pace, ma spada


9. «Non pensate che io sia venuto a mettere pace sulla terra; non sono venuto a metter pace, ma spada. Perché sono venuto a dividere il . figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera; e i nemici dell'uomo saranno quelli stessi di casa sua». (Matteo 10:34-36)

10. «Io sono venuto ad accendere un fuoco sulla terra; e che mi resta da desiderare, se già è acceso? Vi è un battesimo del quale devo essere battezzato; e sono angosciato finché non sia compiuto! Voi pensate che io sia venuto a portar pace sulla terra? No, vi dico, ma piuttosto divisione; perché, da ora in avanti, se vi sono cinque persone in una casa, saranno divise tre contro due e due contro tre; saranno divisi il padre contro il figlio e il figlio contro il padre; la madre contro la figlia e la figlia contro la madre; la suocera contro la nuora e la nuora contro la suocera.» (Luca 12:49-53)

11. È proprio Gesù, la personificazione della dolcezza e della bontà, Colui che non cessò mai di predicare l'amore per il prossimo, che ha potuto dire «Non sono venuto a metter pace, ma spada; perché sono venuto a dividere il figlio da suo padre, la figlia da sua madre, la nuora dalla suocera. Io sono venuto a gettare il fuoco sulla Terra, e ho premura ch'esso si accenda»? Queste parole non sono in flagrante contraddizione con il Suo insegnamento? Non è blasfemo attribuirgli un linguaggio da conquistatore sanguinario e devastatore? No, non c'è né bestemmia né contraddizione in queste parole, perché fu proprio Lui che le pronunciò, ed esse testimoniano la Sua sublime saggezza. Accade però che la forma, alquanto equivoca, non renda esattamente il suo pensiero, il che porta a ingannarsi sul vero significato delle parole in questione. Prese alla lettera, esse tenderebbero a trasformare la Sua missione, integralmente di pace, in una missione di turbamenti e discordie, cosa assurda che il buon senso fa scartare, perché Gesù non poteva smentirsi (vedere cap. XIV, n. 6 di quest'opera).

12. Tutte le idee nuove incontrano necessariamente un'opposizione, e non c'è una sola idea che si sia affermata senza lotte. Ora, in casi come questi, la resistenza è sempre commisurata all'importanza dei risultati previsti, perché più l'idea è grande, maggiormente urta degli interessi. Se essa invece è notoriamente falsa, se la si giudica senza conseguenze, nessuno se ne preoccupa e la si lascia passare, sapendo che non ha futuro. Ma se essa è vera, se essa poggia su solide basi, se se ne intravede il suo avvenire, un segreto presentimento avverte i suoi antagonisti che essa è un danno per loro e per l'ordine delle cose che sono interessati a mantenere. È per questo che essi infieriscono sulla nuova idea e sui suoi sostenitori.

La misura dell'importanza e delle conseguenze di una idea nuova si evidenzia dall'emozione che essa suscita al suo apparire, dalla violenza dell'opposizione che essa solleva, e dal grado e dal persistere della collera dei suoi avversari.

13. Gesù veniva a proclamare una dottrina che scalzava alla base tutti gli abusi perpetrati dai Farisei, dagli Scribi e dai sacerdoti del Suo tempo. Così lo fecero morire credendo di uccidere l'idea con la morte dell'uomo. Ma l'idea è sopravvissuta perché era vera ed è cresciuta perché era nei disegni di Dio. Uscita da un'oscura borgata della Giudea, andò a piantare la sua bandiera proprio nella capitale del mondo pagano, di fronte ai suoi nemici più accaniti, a coloro che avevano più interesse a combatterla, perché rovesciava delle credenze secolari, alle quali molti tenevano molto più per interesse che per convinzione. Là, lotte ancora più terribili attendevano i suoi apostoli. Innumerevoli furono le vittime, ma l'idea crebbe sempre e uscì trionfante perché superava, in quanto a verità, quelle precedenti.

14. Bisogna tener presente che il Cristianesimo è arrivato quando il Paganesimo era al suo tramonto e si dibatteva contro i lumi della ragione. Formalmente lo si praticava ancora, ma la credenza era ormai scomparsa, ed esso era sostenuto dai soli interessi personali. Ora, l'interesse è tenace e non cede mai all'evidenza. Quanto più i ragionamenti che gli vengono opposti sono categorici, quanto più chiaramente gli si mostrano i suoi errori, tanto più si irrita. Sa benissimo di essere in errore, ma non è questo che lo tocca, perché la vera fede non alberga nel suo animo. Ciò che maggiormente teme è la luce che apre gli occhi ai ciechi. L'errore gli è anzi di vantaggio, ed è per questo che vi si aggrappa e lo difende.

Socrate non aveva forse, lui stesso, diffuso una dottrina analoga, fino a un certo punto, a quella di Cristo? Perché dunque non prevalse allora, presso un popolo fra i più intelligenti della Terra? Fu perché non era ancora giunto il tempo. Egli seminava in una terra non arata. Il paganesimo non si era ancora sufficientemente consumato. Cristo ricevette la Sua missione provvidenziale nel momento propizio. Non tutti gli uomini del Suo tempo erano all'altezza delle idee cristiane, ma c'era un clima generale, un'attitudine più diffusa per assimilarle, perché si incominciava a sentire il vuoto che le credenze volgari lasciavano nell'anima. Socrate e Platone avevano aperto la via e predisposto gli Spiriti (vedere nell'Introduzione a quest'opera, il par. IV: "Socrate e Platone, precursori dell'idea cristiana e dello Spiritismo").

15. Sfortunatamente gli adepti della nuova dottrina non s'intesero sulla interpretazione delle parole del Maestro, per la maggior parte dissimulate da allegorie e figure retoriche. Da ciò nacquero, fin dall'inizio, le numerose sette che pretendevano, tutte, di possedere la verità esclusiva, e che più di diciotto secoli non hanno potuto mettere d'accordo. Dimenticando il più importante dei divini precetti, di cui Gesù aveva fatto la pietra angolare del Suo edificio e la condizione espressa della salvezza — carità, fraternità e amore per il prossimo —, queste sette si rilanciavano l'anatema e si scagliavano le une contro le altre. Le più forti schiacciavano le più deboli, soffocandole nel sangue, nelle torture e nelle fiamme del rogo. I Cristiani, vincitori del Paganesimo, da perseguitati divennero persecutori. È con il ferro e con il fuoco che hanno piantato la croce dell'agnello senza macchia nei due mondi. È un fatto provato che le guerre di religione sono state le più crudeli e hanno fatto più vittime delle guerre politiche e che in nessun'altra sono stati commessi atti più atroci e barbari.

La colpa sta forse nella dottrina di Cristo? Certamente no, perché essa condanna formalmente qualsiasi violenza. Ha forse Egli detto in qualche caso ai Suoi discepoli: «Andate, ammazzate, massacrate, bruciate quelli che non credono come voi credete?» No, perché invece ha loro detto: ,,Tutti gli uomini sono fratelli, e Dio è sovranamente misericordioso; amate il vostro prossimo; amate i vostri nemici; fate del bene a quelli che vi perseguitano». Ha ancora detto loro: «Chi di spada ferisce, di spada perisce». La responsabilità non è dunque della dottrina di Gesù, ma di quelli che l'hanno falsamente interpretata e ne hanno fatto uno strumento per servire le loro passioni; di quelli che hanno travisato queste parole: Il mio Regno non è di questo mondo».

Gesù, nella Sua profonda saggezza, aveva previsto ciò che sarebbe successo, ma queste cose erano inevitabili, perché attinenti al livello inferiore della natura umana, che non poteva trasformarsi da un momento all'altro. Bisognava che il Cristianesimo passasse per questa lunga e crudele prova di diciotto secoli per dimostrare tutta la sua potenza. Infatti, malgrado tutto il male commesso in suo nome, ne è uscito puro. Mai è stato chiamato in causa; il biasimo è sempre ricaduto su coloro che ne hanno abusato. A ogni atto di intolleranza, si è sempre detto: «Se il cristianesimo fosse stato compreso meglio e meglio praticato, ciò non sarebbe successo».

16. Quando Gesù disse: «Voi pensate che io sia venuto a portar pace sulla Terra? No, vi dico, ma piuttosto divisione», il Suo pensiero era questo:

«Non crediate che la mia dottrina si affermi pacificamente. Essa porterà lotte sanguinose, per le quali il mio nome sarà un pretesto, perché gli uomini non mi avranno compreso o non avranno voluto comprendermi. I fratelli, separati dai loro credo, sguaineranno la spada gli uni contro gli altri, e la divisione regnerà anche fra i membri di una stessa famiglia, per avere essi una diversa fede. Io sono venuto a gettare fuoco sulla Terra, per ripulirla degli errori e dei pregiudizi, così come si appicca il fuoco a un campo per distruggerne le erbe cattive. E sono impaziente che il fuoco divampi affinché la purificazione sia più sollecita, e da questo conflitto la verità esca trionfante. Alla guerra succederà la pace; all'odio di parte la fraternità universale; alle tenebre del fanatismo la luce della fede illuminata. Allora, quando il campo sarà preparato, io vi manderò il Consolatore, lo Spirito di Verità, che verrà a ristabilire tutte le cose. Facendo cioè conoscere il vero senso delle mie parole — che gli uomini più progrediti potranno infine comprendere — egli metterà fine alla lotta fratricida che divide il figli di uno stesso Dio. Stanchi infine di un combattimento senza esito, che lascia dietro di sé solo desolazione e porta turbamento perfino in seno alle famiglie, gli uomini riconosceranno dove stanno i loro veri interessi per questo mondo e per quell'altro. Vedranno allora da che parte stanno gli amici e da quale i nemici della loro pace. Tutti verranno a rifugiarsi sotto la stessa bandiera, quella della carità, e le cose saranno ristabilite sulla Terra secondo la verità e i principi che vi ho insegnato.»

17. Lo Spiritismo viene a realizzare, al tempo determinato, le promesse di Cristo. Ciononostante non può farlo senza prima aver annullato gli abusi. Come Gesù, esso incontra sui suoi passi l'orgoglio, l'egoismo, l'ambizione, la cupidigia, il cieco fanatismo che, assediati nella loro ultima trincea, tentano di sbarrargli il cammino, gli creano degli ostacoli e lo perseguitano. È per questo che deve anch'esso combattere. Ma il tempo delle lotte e delle persecuzioni sanguinose è passato. Quelle che lo Spiritismo dovrà affrontare sono tutte di ordine morale, e la fine è prossima. Le prime sono durate secoli, queste dureranno solo alcuni anni perché la luce, anziché partire da un solo focolare, scaturisce da tutti i punti del globo e più velocemente aprirà gli occhi dei ciechi.

18. Queste parole di Gesù devono essere dunque intese riguardo alle discordie che Egli prevedeva che la Sua dottrina avrebbe sollevato, riguardo ai conflitti momentanei che ne sarebbero stati le conseguenze, riguardo alle lotte che essa avrebbe dovuto sostenere prima di affermarsi, così come fu per gli Ebrei prima che si stabilissero nella Terra Promessa. Queste parole non vanno cioè intese come un disegno predeterminato, da parte Sua, di seminare disordine e confusione. Il male sarebbe venuto dagli uomini e non da Lui. La Sua posizione era quella del medico che guarisce, ma le cui cure provocano una reazione salutare, rimuovendo gli umori malsani del malato.