Il Libro degli Spiriti

Allan Kardec

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Le virtù e i vizi

893. Qual è la più meritoria delle virtù?

«Tutte le virtù hanno un loro merito, perché tutte sono segni di progresso sulla via del bene. C’è virtù tutte le volte che si oppone resistenza volontaria all'impulso delle cattive tendenze. Ma il sublime della virtù consiste nel sacrificio dell'interesse personale per il bene del prossimo, senza secondi fini. La più meritoria delle virtù è quella che si fonda sulla carità più disinteressata.»


894. Ci sono persone che fanno il bene per un moto spontaneo, senza dover vincere alcun sentimento contrario. Hanno esse lo stesso merito di quelle che devono lottare contro la propria natura e che la superano?

«Quelli che non devono affatto lottare sono coloro in cui il progresso e compiuto. Essi un tempo hanno lottato e hanno trionfato. È per questo che i buoni sentimenti non costano loro nessuno sforzo e le loro azioni sembrano del tutto naturali. Per costoro il bene e diventato un'abitudine. Bisogna dunque onorarli come dei vecchi guerrieri che si sono conquistati i gradi.

Poiché voi siete ancora molto lontani dalla perfezione, questi esempi vi impressionano per il loro contrasto, e quanto più sono rari tanto più li ammirate. Ma sappiate che, nei mondi più avanzati del vostro, ciò che fra di voi è un'eccezione, là è la regola. Il sentimento del bene là è ovunque spontaneo, perché vi abitano solo buoni Spiriti e una sola cattiva intenzione sarebbe un'eccezione mostruosa. Ecco perché le creature là sono felici. Sarà lo stesso sulla Terra quando l'umanità si sarà trasformata e quando essa capirà e praticherà la carità nella sua vera accezione.»


895. A parte i difetti e le virtù sui quali nessuno potrebbe ingannarsi, qual e l'aspetto più caratteristico dell'imperfezione?

«È l'interesse personale. Le qualità morali sono sovente come la doratura applicata su un oggetto di rame, e che non resiste alla pietra di paragone. Un uomo può possedere delle qualità oggettive che ne fanno, per il mondo, un uomo dabbene. Ma queste qualità, sebbene costituiscano un progresso, non sempre sopportano certe prove, e a volte basta toccare la corda dell'interesse personale per portare allo scoperto il fondo. Il vero disinteresse e cosa talmente rara sulla Terra che quando si presenta lo si ammira come se fosse un fenomeno. L'attaccamento alle cose materiali e un notorio segno di inferiorità perché, più l'uomo tiene ai beni di questo mondo, meno comprende il suo destino. Con il disinteresse, invece, egli dimostra di vedere il futuro da un punto di vista più elevato.»


896. Esistono persone che sono disinteressate senza buonsenso, prodigando i loro averi senza un vantaggio reale, senza farne un impiego ragionevole. Costoro hanno qualche merito?

«Hanno il merito del disinteresse, ma non quello del bene che potrebbero fare. Se il disinteresse e una virtù, la prodigalità irragionevole e sempre, come minimo, una mancanza di buonsenso. La ricchezza non viene data a certuni per essere gettata al vento, né ad altri per venire rinchiusa in cassaforte. È un deposito di cui i privilegiati dovranno rendere conto, perché dovranno rispondere di tutto il bene che era in loro potere fare e che non avranno fatto, di tutte le lacrime che avrebbero potuto asciugare con i soldi che hanno dato a coloro che non ne avevano bisogno.»


897. È da biasimare chi fa del bene, non in vista di una ricompensa sulla Terra, ma nella speranza che gliene sarà tenuto conto nell'altra esistenza, e anche nella speranza che la sua posizione sarà là ancora migliore? E questo pensiero nuoce al suo avanzamento?

«Sì. Si deve fare il bene con carità, ossia con disinteresse.»


897a. Comunque tutti hanno il desiderio molto naturale di avanzare, per uscire dallo stato penoso di questa vita. Gli stessi Spiriti non ci insegnano forse a praticare il bene a questo scopo? è dunque un male pensare che, facendo il bene, si può sperare di stare meglio che sulla Terra?

«Certamente no. Ma chi fa del bene senza secondi fini, e per il solo piacere di essere gradito a Dio e al suo prossimo sofferente, si trova già a un certo grado di avanzamento che gli permetterà di arrivare molto prima alla felicita di suo fratello che, più calcolatore, f a il bene con raziocinio e non è spinto dal calore naturale del suo cuore.» (Vedere n. 894)


897b. A questo punto non è il caso di distinguere fra il bene che si può fare al prossimo e l'impegno che si mette per correggersi dei propri difetti? Noi ben comprendiamo che fare il bene con il pensiero che se ne terrà conto nell'altra vita è poco meritorio. Ma correggersi, vincere le proprie passioni, migliorare il proprio carattere per avvicinarsi ai buoni Spiriti ed elevarsi, non è ugualmente un segno di inferiorità?

«No. Assolutamente no. Quando diciamo fare il bene, noi intendiamo dire essere caritatevoli. Chi calcola quanto ogni buona azione può fruttargli nella vita futura, così come in quella terrena, agisce da egoista. Non c’è invece alcun egoismo nel migliorare sé stesso con lo scopo di avvicinarsi a Dio, perché questo è il fine cui ognuno deve tendere.»


898. Poiché la vita fisica è solo un passaggio temporaneo su questa Terra, e poiché il nostro futuro deve essere la nostra principale preoccupazione, è utile sforzarsi di acquisire conoscenze scientifiche che riguardano solo le cose e i bisogni materiali?

«Senza dubbio. Innanzi tutto, ciò vi mette in grado di soccorrere i vostri fratelli, poi il vostro Spirito salirà più velocemente se ha già progredito in intelligenza. Nell'intervallo fra una reincarnazione e l'altra, voi imparerete in un'ora ciò che sulla vostra Terra vi richiederebbe degli anni. Non c’è conoscenza che non sia utile. Tutte contribuiscono più o meno al progresso, perché uno Spirito perfetto deve sapere tutto, e perché, dovendo il progresso compiersi in tutti i sensi, tutte le idee acquisite contribuiscono allo sviluppo dello Spirito.»


899. Di due uomini ricchi, l'uno è nato nell'opulenza e non ha mai conosciuto il bisogno, l'altro deve la sua fortuna al suo lavoro. Tutti e due impiegano la loro fortuna esclusivamente per le loro soddisfazioni personali. Chi dei due è il più colpevole?

«Quello che ha conosciuto le sofferenze. Egli sa che cosa vuol dire soffrire, conosce quel dolore che ora, pero, egli non allevia negli altri, perché troppo spesso non si ricorda più del suo.»


900. Chi accumula incessantemente e senza fare del bene a nessuno può trovare una valida scusa nell'idea di accumulare per lasciare di più ai suoi eredi?

«Si tratta di un compromesso con la sua cattiva coscienza.»


901. Fra due avari, il primo si nega il necessario e muore di stenti sul suo tesoro, il secondo è avaro solo con gli altri, ma prodigo con sé stesso. Mentre indietreggia difronte al minimo sacrificio per rendere un servigio o fare una cosa utile, non bada a niente pur di soddisfare i suoi divertimenti e le sue passioni. Gli si domanda un piacere ed è sempre difficile ottenerlo, ma quando vuole togliersi un capriccio ha sempre quanto basta. Chi è il più colpevole e chi avrà il posto peggiore nel mondo degli Spiriti?

«Quello che se la gode: lui e più egoista dell'avaro. L'altro ha già trovato in parte la sua punizione.»


902. É biasimevole invidiare la ricchezza quando è perii desiderio di fare il bene?

«Il sentimento è senza dubbio apprezzabile, quando è puro. Ma questo desiderio è sempre così disinteressato? Non nasconde nessun secondo fine personale? La prima persona alla quale desiderate fare del bene non è sovente la vostra?»


903. Si è colpevoli se si indaga sui difetti degli altri?

«Se e per criticarli e divulgarli si e molto colpevoli, perché è mancare di carità. Se e per trarne un vantaggio personale, al fine di evitarli noi stessi, può qualche volta essere utile. Ma non bisogna dimenticare che l'indulgenza per i difetti altrui e una delle virtù comprese nella carità. Prima di censurare gli altri per i loro difetti, osservate se non si potrebbe dire lo stesso di voi. Cercate dunque di avere le qualità opposte a quei difetti che si criticano negli altri. È questo il modo di rendersi superiori. Rimproverate a qualcuno di essere avaro? Siate generosi. Di essere orgoglioso? Siate umili e modesti. Di essere duro? Siate dolci. Di agire con piccineria? Siate grandi in tutte le vostre azioni. In una parola, fate in modo che non si possano applicare a voile parole di Gesù: Egli vede una pagliuzza nell'occhio del suo vicino e non vede una trave nel proprio.»


904. Si è colpevoli di esaminare le piaghe della società e di divulgarle?

«Dipende dal sentimento con cui si è indotti a farlo. Se chi scrive non ha che l'intento di sollevare scandalo, e una soddisfazione personale che si procura presentando dei quadri che sono piuttosto dei cattivi che dei buoni esempi. Lo Spirito apprezza, ma può essere punito per questo tipo di piacere che prova nel rivelare il male.»


904a. In questo caso, come giudicare la purezza delle intenzioni e la sincerità di chi scrive?

«Non sempre questo vostro esame e utile. Ma se costui scrive delle cose buone, ricavatene un vantaggio. Se invece scrive cose cattive, è una questione di coscienza che riguarda lui solo. Del resto, se tiene a provare la sua sincerità, sta a lui suffragare l'insegnamento col suo stesso esempio.»


905. Certi scrittori hanno pubblicato delle opere molto belle e di alto livello morale che contribuiscono al progresso dell'umanità, ma da cui essi stessi non hanno tratto profitto. Viene loro tenuto conto, in quanto Spiriti, del bene che le loro opere hanno profuso?

«La morale, senza le azioni, e la semente senza il lavoro. A che cosa vi serve la semente se non la fate fruttare per nutrirvi? Questi uomini sono più colpevoli, perché avevano l'intelligenza per comprendere. Non praticando le massime che davano agli altri, hanno rinunciato a raccoglierne i frutti.»


906. Chi fa del bene è da biasimare se ne ha coscienza e lo confessa a sé stesso?

«Dal momento che l'uomo può avere coscienza del male che ha fatto, deve avere anche coscienza del bene, al fine di sapere se agisce bene o male. È pesando tutte le sue azioni sulla bilancia della legge di Dio, e soprattutto su quella della legge di giustizia, amore e carità, le potrà dire se esse sono buone o cattive, se approvarle o disapprovarle. Egli non può dunque essere biasimevole di riconoscere che ha trionfato sulle cattive tendenze, e di esserne soddisfatto, purché non ne tragga motivo di vanita, nel qual caso cadrebbe in un altro errore.» (Vedere n. 919)